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308 la lena.

ATTO TERZO.




SCENA I.

CORBOLO.


Or ho di due faccende fatto prospera-
mente una, e con satisfazione d’animo;
Chè ’l cappone e’ fagiani grassi e teneri
Son riusciti, e ’l pan buono, e ’l vin ottimo.
Non cessa tuttavía lodarmi Flavio
Per uom che ’l suo danajo sappia spendere.
Farò ancor l’altra, ma non con quel gaudio
C’ho fatto questa: m’è troppo difficile
Ch’io vegga a costui spendere, anzi perdere
Venticinque fiorini, e ch’io lo tolleri.
Facile è ’l tôr; sta la fatica al rendere.
Come farà non so, se non fa vendita
Dei panni al fin: ma se i panni si vendono
(Chè so che, a lungo andar, nol potrà ascondere
Al padre), i gridi, i rumori, li strepiti
Si sentiran per tutto; e sta a pericolo
D’esser cacciato di casa. Or l’astuzia
Bisognaría d’un servo, quale fingere
Ho veduto talor nelle commedie,
Che questa somma con fraude e fallacia
Sapesse del borsel del vecchio mungere.
Deh, se ben io non son Davo nè Sosia,
Se ben non nacqui fra Geti nè in Siria,
Non ho in questa testaccia anch’io malizia?
Non saprò ordire un giunto anch’io, ch’a tessere
Abbia fortuna poi, la qual propizia
(Come si dice) a gli audaci suol essere?
Ma che farò, che con un vecchio credulo
Non ho a far, qual a suo modo Terenzio
O Plauto suol Cremete o Simon fingere?
Ma quanto egli è più cauto, maggior gloria
Non è la mia, s’io lo piglio alla trappola?