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atto terzo. — sc. iv. 391

Astrologo.                                              Non si prestano
Tal cose.
Massimo.               E come farem dunque?
Astrologo.                                                    Pensoci.
Mi sovviene che a questi giorni un monaco
Mi parlò che n’aveva uno da vendere,
Nè il prezzo mi paréa disconvenevole:
So ben che non fu fatto da principio
Per men di sei fiorini; ma per dodici
Lire di queste vostre avría lasciatolo.
Nibbio.(Di qui farà non sol le calze nascere,
Ma la berretta e sino alle pantofole.)
Massimo.Tanto cotesti pennacchi si vendono?
Astrologo. Io non dico pennacchi, ma pentacoli.
Massimo.C’ho a far del nome? io miro a quel che costano.
Astrologo.S’io posso far che ve lo dia per undici
Lire e mezza, a chiusi occhi1 comperatelo,
Chè sempremai ve ne farò aver undici:
E della tela e di quest’altre favole
Sempre n’avrete il danajo con perdita
Di poco. Fate che i bacini s’abbiano
Per consagrarli a tempo, sì che possino
Fare il bisogno.
Massimo.                         I bacin sono in ordine.
Nibbio.(Altro che calze e giubbon n’ha a riescere!)2
Massimo.Ho da provveder altro?
Astrologo.                                        Ci bisognano
Due torchi, assai candele ed erbe varie
E varî gummi3 per li suffumigii;


  1. Cioè, senza pensarvi sopra, senza stare in dubbio se comprandolo per un tal prezzo farete bene o male. Fare una cosa a occhi chiusi, vale farla senza neanche pensarci, non già per difetto di considerazione (come in alcuni casi nei quali un tal modo equivale all’altro farla alla cieca), ma perchè (come nel caso nostro) abbiamo anticipatamente quasi la certezza che, facendola, facciamo bene, nè è mai per venircene danno. — (Tortoli.) — Quest’esempio del modo avverbiale, A chiusi occhi, può bene accompagnarsi con quello del Salviati prodotto nelle Giunte Veronesi, dove non può certo convenire la dichiarazione di Alla cieca.
  2. Questa desinenza può essere annoverata tra i lombardismi di che l’autore stesso fa confessione nel prologo primo di questa Commedia.
  3. Così (cioè, con la vecchia grafía: a varij ghumi) ha l’edizione del Giolito; e noi la seguiamo tanto più volentieri, in quanto ci ricorda il tante sorte di gummi, che già facemmo osservare nell’Erbolato. Non è da chiedere se i meno antichi editori si facessero solleciti di correggere: E varie gomme.