Pagina:Ariosto - Satire, 1809.djvu/39

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TERZA 33

Ma, quando Cardinale, o de li servi
     Io sia il gran servo; e non ritrovino anco
     Termine i desiderj miei protervi;
In ch’util mi risulta essermi stanco
     In salir tanti gradi? meglio fora
     Starmi in riposo, o affaticarmi manco.
Nel tempo, ch’era nuovo il mondo ancora;
     E che inesperta era la gente prima;
     E non eran l’astuzie, che son ora;
A piè d’un alto monte, la cui cima
     Parea toccasse il cielo, un popol, quale
     Non so mostrar, vivea ne la valle ima;
Che più volte osservando la ineguale
     Luna, or con corna, or senza, or piena, or scema,
     Girare il cielo al corso naturale;
E credendo poter da la suprema
     Parte del mondo giungervi, e vederla
     Come si accresca, e come in sè si prema;
Chi con canestro, e chi con sacco per la
     Montagna, cominciar correr in su,
     Ingordi tutti a gara di tenerla.
Vedendo poi non esser giunti più
     Vicini a lei, cadeano a terra lassi,
     Bramando in van d’esser rimasi giù:
Quei, ch’alti li vedean dai poggi bassi,
     Credendo che toccassero la Luna,
     Dietro, venian con frettolosi passi.