Pagina:Aristofane - Commedie, Venezia 1545.djvu/159

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LE RANE
parole gravi, primamente, l'attenuai, e le tolsi la gravitade, con parolette, deambulationi, e bete piciole, dandole il suco de le loquacità, eletto da i libri, poi l'ho rinotrita con il sol cantare, meschiando Cefisofanta: poi non ho zanciato di ciascuna cosa, che io ho asseguita, ne occorendomi l'ho meschiata, ma uscita primamente mi ha dato l forte de l'atto.
Eschilo
Era meglio per Giove à te, che il tuo proprio.
Euripide
Poi da le prime parole ho lasciato niente di tardo: ma la moglie mi ha parlato, e il servo niente meno, il signore, la vergine, e la vecchietta.
Eschilo
Non bisognava che tu morissi havendo ardimento di tal cosa?
Euripide
Per Apolline, che io faceva esso cosa imperiale.
Dionisio
Amico mio lascia stare, che circa questo non hai buon procedere.
Eaco
Poi insegnai costoro à parlare.
Eschilo
Ti dico, dio volesse che prima fosti crepato, che havessi insegnato.
Euripide
Le impositioni de le regole tenui, le obliquità de le parole à intendere, vederle, componerle, voltarle, amarle, fabricarle, pensare il male, essaminare ogni cosa.
Eschilo
E 'l dico io.
Euripide
Inducendo le proprie cose, le quali usamo, con le quali siamo, de le quali era ripreso, però che costoro anchora loro conscij mi arguivano de l'ar-