Pagina:Aristofane - Commedie, Venezia 1545.djvu/214

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verrà ne'l parlare de le scorze de l'uva, conoscerà con che sorte de beni pagandolo lo’ngannavi. poi à te verrà grave, selvagio, da tè cercando aiuto. le quai cose tu conosci, et costui ingànni, et ti'nsogni per te medesimo.

Cl.
Non è grave cosa à te à dir questo, è certo contra di mè, et accusarmi à gli Atheniesi, et a'l popolo che fà pur assai beni, piu di Temistocle, per Cerere gia à torno à la cità.
Al.
O cità d'Argo, udite, che egli dice. tu ti aguali à Temistocle, che hà fatto la nostra cità piena, trovandola senza labri. et oltra à questo per disnare fece macinare à Pireo. et portando via niente de le cose vecchie, puose avanti pesci freschi. Tu poi cercando di dimostrare gli Ateniesi poco citadini spartendo et indovuinando, comparando à Temistocle, essò lui pur fuge la terra, et tu spazzi su l'orzo.
Cl.
Non è questo grave à udire ò popolo da costui che io ti amo?
Po.
Riposiati quì, et non variare i travagij, et assai tempo fà che m'hai questo celato, et molto piu adesso me lo ascondi.
Al.
Sceleratissimo, ò popolo, et facente molti mali, quando apre la bocca, et tagliando le verghe d'i giudicij, gli sorbisce. et con tutte due le mani mangie et divora le cose de'l popolo.
Cl.
Non t’alegrarai, ma tè robando inalzerò io per trenta