Pagina:Aristofane - Commedie, Venezia 1545.djvu/64

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re, e l’altra che è pegiore: di queste due parole una è minore. dicono che colui che dice, vince cose ingiustissime. Se adunque m’impararai questa parola ingiusta, di quelle cose che hora sono per te debitore, non gli renderò, ne anche un bagattino à niuno.
Fid.
Non m’arisicarò mica io. per ciò che non sofferrei vedere i cavallieri per il loro colore attristato.
Str.
Non per Cerere gia del mio mangiarai ne tu, ne Zigio, ne anche Samfora, ma ti scaciarò à le forche fuora di casa.
Fid.
Ma non mi sprezarà il zio Megaclee, senza cavalli, hor me vado, et di te non mi fò caso.
Str.
Ma ne anche io pur cadendo mi giacerò, anzi pregati gli dei sarò insegnato io stesso, andandone à la scuola. a che modo mò essendo vecchio, smentichevole, e tardo, impararò io le sottigliezze de le parole accorte? bisogna andare. perche havendo io queste cose strangoscio, et stringomi? ma non batto à la porta. fanciullo, fanciulletto.
Dis.
Vati fà squartare, ch’è quello che batt’à la porta?
Str.
Strepsiade figliuol di Fidone da Cicine.
Dis.
Bestia per dio Giove sia chi tu vogli esser, che cosi forte inconsideratamente hai battut’à la porta, et la consideratione meza fatta hai trovata.
Str.
Perdonami, che io ne stò longi à la villa, ma dimi la cosa meza fatta.
Disc.
Ma non è lecito dirla se non à scolari.