Pagina:Arrighi - La scapigliatura e il 6 febbrajo, Milano, Redaelli, 1862.djvu/143

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sione d’una vecchia bigotta che viene sorpresa sul più bello dai dolori di ventre? Egli parlava il dialetto bergamasco, da far strabiliare Gustavo che se ne intendeva; il genovese come un facchino di portofranco... il pavese poi... oh il pavese lo parlava meglio d’un abitante dell’alma città delle cento torri. Nessun canto di uccello, nessun grido di quadrupede, nessun rumore della natura gli era ignoto...

E quando ci si metteva bisognava, volere o non volere, sciogliersi dalle risa.


Mentre andava camuffandosi così — sul sofà — l’ignobile sofà delle osterie milanesi — di contro a quello da cui s’erano levati poco prima Niso e Gustavo, se ne stavano sdraiate un po’ sguaiatamente due belle creature — le più belle delle sei invitate — che parlavano sommessamente fra loro.

Erano la Teresa e la Gigia; la prima amante di Teodoro, la seconda di Emilio.

Belle entrambe, ma così diversamente, che chiunque fosse stato messo nell’impegno di Paride, ci avrebbe pensato sopra un bel pezzo.

La Gigia non figurava a dir vero come la Teresa, nè per la voluttuosa rotondità delle forme, degne della Venere Callipige, nè per la galante maniera di vestire. Ma nell’aperta fisonomia, nel sorriso, e soprattutto nel limpidissimo sguardo, mostrava una così gioconda purità d’animo, che anche senza conoscerla menomamente, si avrebbe giurato esser ella una buona ragazza.