Pagina:Arrighi - La scapigliatura e il 6 febbrajo, Milano, Redaelli, 1862.djvu/184

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— No; — interruppe Dal Poggio — ora non si tratta più del nonno... si tratta di me;... te l’ho già detto: non sono più io, questa sera;... che importa? Ho bisogno d’un giuramento;... giura qui, su questa mano, che il tuo cuore è puro ancora come il giorno che divenisti mia moglie...

E, così dicendo, le stendeva dinanzi la mano aperta.


La verità non ha che una forma; la finzione ne ha mille. E davvero che a considerare il mondo sotto un certo aspetto, c’è da ringraziare la Provvidenza, che abbia voluto, colla multiforme finzione, coprire tanti mali della povera umanità. Se è vero che la somma di questi sia d’assai superiore a quella del bene, la verità sola e nuda, quante tristi e scellerate cose non isvelerebbe ogni minuto!

Che sono mai la politica, la diplomazia, la storia, se non immense finzioni? Se la verità scoprisse continuamente le cause segrete e reali degli avvenimenti ne avremmo spavento e vergogna. Non è forse per mezzo della finzione che la società ha conservato quel po’ di fede che le resta ancora?

La verità: è la fredda terra spogliata di verzura, che sarà presto o tardi la tomba a ciascuno di noi; la finzione: è un giardino in primavera, le cui negre zolle sono coperte dalle erbe e dai fiori. La verità: è la donna appena alzata dal letto, pallida, colle occhiaie, discinta; la finzione: è la donna abbigliata pel ballo, imbellettata, rigonfia — che importa? — pur ch’ella sappia suscitarmi un palpito