Pagina:Arrighi - La scapigliatura e il 6 febbrajo, Milano, Redaelli, 1862.djvu/204

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Quando io vedo un ubbriaco povero, penso alla infelicità di quello sventurato, che non seppe trovar altro conforto che nel vino, e che, forse per dimenticare la propria miseria, ha perduto bevendo l’uso della memoria, della favella e delle gambe.


A destra dell’uscio d’ingresso cinque popolani stretti in circolo intorno ad un confratello cantavano in coro. Il maestro dilettante — lo Spadon dei dodici — batteva il tempo con una sicurezza ed una prosopopea degne addirittura d’un Paganini o d’uno Strauss, e lanciava fiere occhiate a destra e a sinistra sui meno intonati. La patetica melodia: un coro della Muta di Portici — dei portici, secondo lui — fluiva raucamente da quelle rozze gole, ma con mirabile accordo, tantochè se il maestro fosse stato presente non avrebbe udito falsare una nota sola della sua geniale ispirazione.

Non così accadeva, ahimè! del povero libretto, di cui facevano essi pressapoco lo strazio che i letterati francesi fanno de’ nostri poeti.

Dice il libretto:

. . . . . . . amico
Il piccol legno ascendi,
È limpido il mattin;
La preda, ecc...

E il coro cantava:

Amic, el piccol lume accendi
È lampito, è lampìto il mattin;
La frega è del saccaci
Pria che ci sfugga l’ognor