Pagina:Arrighi - La scapigliatura e il 6 febbrajo, Milano, Redaelli, 1862.djvu/206

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mo furto, glien’era restato per gloriosa memoria il soprannome.

— E dodici! — gridò egli ai giuocatori, portando un bicchiere alle labbra e facendo lo scoppietto colla lingua — Accidenti! che bel punto, Lisandro.

— È un pezzo che lo velettava, figliol d’una negra! — gridò questi, che aveva vinto la partita.

Alla bella, alla bella! — grugnì l’altro che perdeva — qua, Lisandro, attacchiamo.

Il vincitore gli fe’ cenno colla mano di posare un minuto; versò da bere; levò i bicchieri un dopo l’altro dal vassoio di peltro, sporgendoli ai tre compagni; poi, col proprio, invitò Fanfirla a toccare, dicendo:

— Viva noi e crepino i signori. — Ci diè una buona tirata; si forbì colla manica la bocca; quindi la partita ricominciò con nuova lena, e confuse il suo monotono schiamazzo all’armonia del coro ed al vociare degli altri bevitori.


Fanfirla intanto, stufo di star lì a badare i punti, si era voltato a destra verso tre donne vestite da lapoff, che facevano un diavolo a quattro di risa, di grida e di urtoni colla vecchia bacucca, mentre una quarta, seduta malinconica in un cantuccio, teneva fissati gli occhi in viso ad un pompiere, che stava presso il banco aspettando il resto dall’oste.

Il monello, colse a volo un segno di intelligenza fra quella ragazza e il pompiere, e, fattosi in viso arcigno, le si accostò, e le disse a mezza voce: