Pagina:Arrighi - La scapigliatura e il 6 febbrajo, Milano, Redaelli, 1862.djvu/264

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parola, e che mi trattiene perfino dallo sconciarvi il viso colle mie mani...

A questo nuovo e strano insulto Noemi si sentì ritornare nell’animo tutto il suo coraggio e la sua avversione. Si alzò indegnata e fremente, come avrebbe potuto fare una donna incolpevole, e invece di cercare di scolparsi o di placare quel terribile sdegno, fe’ cenno di ritirarsi.

— V’ho detto di star seduta; — disse il marito snodando le braccia dal petto, senz’alzar la voce, e facendo un gesto a cui era impossibile di non ubbidire — Ah credete forse d’impormi, — continuò egli, cogli occhi sempre socchiusi e con un sorriso di fredda e feroce ironia — credete forse d’impormi con quelle vostre arie da regina oltraggiata?

— Emanuele! — balbettò Noemi, perduta nel suo dolore e nella sua confusione.

— Farete i vostri bauli, — continuò il marito — e starete pronta a partire fra poco da Milano con me. Non fatevelo dire due volte.

Noemi era come istupidita; le sue pupille si dilatavano spaventosamente, e le sue belle labbra secche e pallide fremevano come per febbre.

— M’avete compreso? Rispondete.

— Ebbene; — diss’ella freddamente, col coraggio che dà la disperazione — io non partirò. Uccidetemi piuttosto... ma io non voglio partire.

Il Dal Poggio strinse i pugni e mandò un ah! come ruggito di pantera, che sta per slanciarsi sul cacciatore che l’ha ferita. Ma si trattenne, e continuò coll’ironia di prima: