Pagina:Arrighi - La scapigliatura e il 6 febbrajo, Milano, Redaelli, 1862.djvu/95

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Cristina sorrise e si gettò indietro nella sedia.

Poco dopo s’intese aprir l’uscio e il servo annunciar nel gabinetto il signor Emilio Digliani.


Il giovine entrò colla sua solita disinvoltura, ilare in volto, e senza un’ombra di quell’emozione e di quel pentimento, che Noemi sperava di sorprendergli nello sguardo quando l’avesse veduta.

Ella abbassò gli occhi sulla fiamma del caminetto, e non li rialzò se non quando Emilio, dopo aver stretta la mano alla Firmiani, la richiese del saluto nell’egual modo.

Allora Noemi gli porse la destra con una occhiata lunga e mesta, che se non chiedeva pietà, spirava certo tenerezza ed amore.

Emilio — che la Provvidenza aveva creato buono, ma che subiva l’impero delle strane contraddizioni del suo misterioso carattere — non provava forse il bisogno di dimostrar il suo amore, se non quando la donna che amava, o che credeva di amare, gli si mostrava dura e indifferente.

Se Noemi lo avesse accolto ridendo, e con freddezza, egli non avrebbe creduto nè a quel riso, nè a quella freddezza, ma forse le avrebbe stretto la mano con maggior calore. Quello sguardo invece sommesso e appassionato, che appagava tutto il suo amor proprio, non gli fece provare che una gioia vivissima, e volendo goderne in più larga dose, fu sostenuto e freddo.

Così è; le son cose che tutti sanno. In fatto di