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26 ARS ET LABOR

potenti passioni di questo popolo di cui ho narrato in una cinquantina di volumi le sanguinose istorie e le fosche tradizioni; in questa ora della notte, mentre il Busento va torbido e mormorante lungo le mura del mio giardino in cui fioriscono le pallide rose invernali e i tristi crisantemi forse sulle ossa e insieme su gli ori e le gemme del barbaro goto, attraverso i vetri della finestretta guardo nelle tenebre e parmi di vedere giù nel greto un affaccendarsi di fantasmi dagli elmi e dalle corazze di acciaio da cui il sottil raggio di qualche stella fra gli strappi delle nuvole trae lieve scintille, mentre sordi tintinnii di scudi percossi dalle lancie e dalle spade rompono il silenzio che incombe sulla vallata. Quanti, quanti anni sono trascorsi da quella notte in cui l'immensa fossa fu scavata sul letto del fiume di cui avevano deviato le acque che vi furono ricondotte dopo che il cadavere del re vestito dell'armatura, con la corona d'oro sul capo e posto sul cavallo di battaglia vi fu calato e poi sopra esso si gettarono gli ori, gli argenti, i gioielli, e quindi di nuovo le acque si ricondussero nel tramite antico, mentre gli schiavi, che avevano scavato l'immane fossa, venivano sgozzati onde, come canta il Platen, man romana non violasse la tomba e la memoria del gran morto! cosenza e la valle del crati. Sepolcro ben degno di un re! Lontano lontano nereggia folta di pini la giogaia dello Sila, e par mediti nel silenzio la truce, ma generosa sua storia, Essa fu il regno dei ribelli fin da quando Roma imperava sul mondo; essa accolse i perseguitati dalle leggi imposte dai prepotenti, si chiamassero Romani o Greci, Normanni o Svevi, Angioini od Aragonesi, Spagnuoli o Francesi; essa accolse coloro che avendo invano convocata giustizia o misericordia si annidarono in quei boschi e divennero alla loro volta giustizieri dei prepotenti di cui non ebbero misericordia come non ne avevano ottenuto.

Essa vide le lotte feroci in cui si uccideva prima di cadere uccisi; in cui i feriti aspettavano che il nemico corresse loro addosso per abbrancarsi a lui e con un ultimo sforso trafiggerne il cuore. Ma videro anche idilli tenerissimi chè l'amore fiorisce anche nelle nature più selvagge come fra i roveti ed i triboli fiorisce la pallida viola; ma videro anche orge orrende alla danguigna fiammata di un pino, acceso per rischiarare la festa feroce, in cui ebbri di vino e di voluttà quei ribelli alle leggi, le cui amanti al par di essi si erano votate alla morte, certi della prossima fine o per mano del carabiniere o per quella del carnefice, si davano alla follia del godimento, mentre cupe le tenebre incombevano al di là da quel cerchio di luce sanguigna.

E il re barbaro fu sepolto nella confluenza del Busento col Crati, il quale scende dai monti silani e va torbido e biondo a morire nel Jonio, Glorioso fiume, cantato da Virgilio, era questo un tempo, quando navigabile per la sua ampiezza, le greche triremi ne fendevano le acque; quando esse bagnavano le mura di Sibari, la città epicamente sensuale e voluttuosa in cui si elevavano monumenti ai cuochi che avessero inventato un nuovo intingolo, in cui era disdoro per una fanciulla se, già pubere, non avesse l'amante; la città che passò come un sogno di deliziose raffinatezze ove l'amore era un'arte squisita, donde poi Ovidio trasse la sua; e in cui vergini e matrone vestivano stoffe perlucide onde non fossero tolte alla vista dei cittadini le loro più ascose bellezze.

Ed ora va il vecchio Crati alle cui acque, un tempo, le fanciulle si bagnavano affinchè i loro neri capelli divenissero biondi, va povero di acqua ma orgoglioso ancora delle sue memorie, confondendosi col Busento, anche esso in vista povero e triste.

ma talvolta ingrossati entrambi dalle piogge e dal liquefacimento delle nevi precipitano spaventosi dall'altezza ed irrompono per la vallata devastando e travolgendo uomini e cose; chè l'ira dei ifumi è come quella dei popoli: essa cova cova silenziosa e inocua per alcun tempo, poi scoppia furente e feroce abbattendo gli ostacoli e spezzando le dighe che per parevano incrollabili!

Oh, come narrerei volentieri a voi le fiere storie che ebbero a teoatro quei monti e quelle vallate, a voi, lettrici, a voi, lettori usati alla sottili morbose raffinatezze dei romanzatori e dei novellieri moderni!

Cosenza, Dicembre 1905.

Nicola Misasi.