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gennaio 51

esclusivamente ad Ermete infernale e a Bacco e dei quali nessuno si cibava. Inoltre si elevano quattordici altari sui quali si facevano sacrifici funebri al dio.

Particolare notevole, durante i tre giorni delle Antesterie si circondavano con una corda i templi, che così rimanevano chiusi.

Tali le feste greche nel periodo che corrisponde al nostro gennaio, o, per meglio dire, quelle delle quali ci è pervenuta memoria; ma chi può affermare che si riducessero a queste soltanto? I nostri padri antichi vivevano con gioia, ed è molto probabile che tale gioia manifestassero in altre e più frequenti maniere.

I Romani, per esempio, come si può rilevare da numerosi documenti tramandatici e, anche e assai chiaramente, dai Fasti d'Ovidio, festeggiavano moltissimo dei giorni del loto Januarius; dopo le feste di capo d'anno, essi facevano sacrifici a Giano il giorno sette, con giuochi nel Circo; celebravano le feste Agonali con combattimenti in onore di Giano il giorno nove; la festa Carmentale l'undici; le feste e i giuochi Compitali il dodici; i giuochi nel Circo in onore di Giove Statote il tredici; giuochi nel Circo il venti; le feste Sementive il ventiquattro; le prime corse di cavalli al Campo di Marte il ventinove; le feste Pacali (della pace) il trenta, senza dire che tutti i giorni a queste feste altre periodiche se ne aggiunsero per commemorare questa o quella vittoria riportata da questo o da quello imperatore.

La festa Carmentale, veramente, oltre l'undici, si celebrava anche il quindici di gennaio, in onore di Carmenta, la dea dei carmi fatidici e dei parti. Aveva ella presagito, secondo la leggenda, la grandezza e la potenza di Roma, e, forse per ciò, si credette dai Romani che ella presiedesse all'incremento della città. La dea, giunta in vista di Roma — a detta di Ovidio — sarebbe prorotta in questi profetici accenti:

“Erro? O questi colli diventeranno mura colossali? e tutto il resto della terra da questa terra avrà leggi?

“Vinta, vincerai tuttavia, Troia, e, abbattuta, risorgerai; questa rovina schiacceerà le città nemiche.„

Questa divinità romana è veramente un poco complessa e, nelle origini come nelle attribuzioni, oscura. Ninfa di una sorgente di cui nessuno sapeva più indicar la situazione, profetessa e maga invocata sotto due aspetti, poi confusa con le sibille, aveva, come madre di Evandro, una storia — dirò così — ufficiale assai complicata che la faceva cooperare al principio della grandezza di Roma, e una leggenda popolare che faceva di lei una coadiutrice d'ogni raccomandata alle devozione delle madri. E a proposito di un tempo che in Roma era consacrato a questa dea (la quale era venerata sotto diversi aspetti e nomi), si narrava dalle matrone romane una storia curiosa. Dopo la presa di Vejo, Camilo, che aveva fatto voto ad Apollo di consacrargli la decima parte del bottino, pregò il Senato che facesse comperar l'oro necessario: ma non se ne trovò. “ E furono, scrive il Bonghi, le matrone quelle che, fatte più riunioni insieme, decisero in comune di portare al tesoro pubblico quant'oro in gioielli e altrimenti avessero a casa. Di che il Senato si compiacque tanto che volle che d'allora in poi le donne avessero diritto di andare alle cerimonie sacre e ai giuochi in pilento (veicolo coperto con una tenda ad arco, a quattro cavalli), e di feria o di festa in carpento (a due cavalli) „.

Se non che, durante i di sastri della seconda guerra punica, il tribuno C. Oppio, fra gli altri privilegi muliebri, annullò anche questo. Figuratevi le donne romane! Gridarono, protestarono, strepitarono; finchè, a nulla riuscendo, si appigliarono a un espediente assai efficace, a quanto pare. Fecero giuramento di non dar più figliuoli ai loro mariti, cui si negarono pertinacemente; anzi, come Ovidio aggiunge:

“ perchè non partorissero, con ciechi colpi temperiamente scuotevano il peso crescente nelle viscere „.

L'effetto fu sorprendente: la legge fu ritirata, anche a dispetto di quell'ultimo censore di Catone, che tentò di opporsi alla revoca. E le donne poterono passeggiar nuovamente in cocchio, e figliuoli e figliuole nacquero in copia stragrande; in riconoscenza della qual fecondità le matrone vollero dedicato un tempio alla dea Carmenta.

L'undici gennaio, poi, si celebravano anche dal collegio dei Fonfani (operai impiegati per la costruzione e per la manutenzione di acquedotti e fontane) le feste Juturnali o Giuturnali a Jaturna, divinità originaria del Lazio, il culto della quale fu presto traferito a Roma. Essa presiedeva tra il tempio di Castore e Polluce e quello di Vesta; a quella fonte, secondo la leggenda, abbeverarono i cavalli e si astersero dal sudore i due Dioscuri, Castore e Polluce, il giorno della battaglia vinta dai Romani contro i Latini al Lago Regillo.

Veramente non c'era un giorno esattamente stabilito per la festa delle sementi o Sementiva, come Ovidio stesso afferma.

“ Se incerto è il giorno, certa è la stagione in cui il campo è gravido de' semi gettati „.

In ogni modo la festa si faceva verso la fine di gennaio e per tutto il giorno, come la Terra, così riposavano gli agricoltori. Ovidio, ne' suoi Fasti, si rivolge a Cerere e alla Terra invocandole propizie al germogliare delle sementi e al loro buon crescere.

“ Si plachino Cerere e la Terra madri delle messi col farro e con le viscere di una pregna scrofa che a loro spettano.

Cerere e la terra hanno un officio comune; quella dà origine, questa ricetto delle messi „.

In quel giorno, scrive il Vaccai, le giovenche adoperate nei lavori campestri si inghirlandavano di fiori ed eran lasciate in riposo; ciascuno procedeva alla lustrazione del proprio campo „.

Il giorno ventinove, poi, si festeggiava la Pace (feste Pacali).

“ Il canto ci ha condotto all'altare della Pace; questo sarà il penultimo giorno del mese.

“ Vieni, o Pace, cinta i capelli biondi di aziache frondi e rimani mite in tutto il mondo.

Finchè manchino i nemici, manchi pure ogni ragione di trionfi; tu sarai pei capitani gloria maggior della guerra.

“ Il soldato porti le armi solo per tenere in freno le armi e la fiera tuba non canti che feste.

“ Date incensi, o sacerdoti, al fuoco della Pace; e una bianca vittima cada percossa in fronte „.

ù Il mese di Giano era così finito nella serena pace delle feste e dei riti campestri, nella serena pace della Terra, che maturava nel seno ampio e fecondo i germi delle messi che maturava nel seno ampio e fecondo i germi delle messi future. Ma perchè queste fossero copiose, altre e più solenni feste dovevano farsi, sì che le sementi si svolgessero e crescessero non molestate da influssi maligni, scevre di erbe cattive e di zizzania; ond'è che i riti dovessero compiersi sul primo crescere degli steli e delle tenere foglie, quasi a purificare il suolo e l'aria che doveva nutrirle.

Fu così che il mese seguente fu detto Februarius, cioè delle purificazioni.

Guido Vitali Rigogliosi.