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Lombardi, la quale si diede a fare pasticci, offelle, sfogliate ed altre paste composte d’uova, burro, latte, zucchero o miele; ma prima d’allora nelle memorie antiche sembra non si sentano ricordare che i pasticci ripieni di carne d’asino che il Malatesta regalò agli amici nel tempo dell’assedio di Firenze quando la carestia, specialmente di companatico, era grande.

Ora, tornando al bucchero, vi fu un tempo che, come ora la Francia, era la Spagna che dava il tono alle mode, e però ad imitazione del gusto suo, al declinare del xvii secolo e al principio del xviii, vennero in gran voga i profumi e le essenze odorose. Fra gli odori, il bucchero infanatichiva e tanto se ne estese l’uso che perfìno gli speziali e i credenzieri, come si farebbe oggi della vainiglia, il cacciavano nelle pasticche e nelle vivande. Donde si estraeva questo famoso odore e di che sapeva? Stupite in udirlo e giudicate della stravaganza dei gusti e degli uomini! Era polvere di cocci rotti e il suo profumo rassomigliava a quello che la pioggia d’estate fa esalar dal terreno riarso dal sole, odor di terra infine che tramandavano certi vasi detti buccheri, sottili e fragili, senza vernice, dai quali forse ha preso nome il color rosso cupo; ma i più apprezzati erano di un nero lucente. Codesti vasi furono portati in Europa dall’America meridionale la prima volta dai Portoghesi e servivano per bervi entro e per farvi bollir profumi e acque odorose, poi se ne utilizzavano i frantumi nel modo sopra descritto.

Nell’Odissea d’Omero, traduzione d’Ippolito Pindemonte, Antinoo dice:

                                                .......Nobili Proci,
                        Sentite un pensier mio. Di que’ ventrigli
                        Di capre, che di sangue, e grasso empiuti
                        Sul fuoco stan per la futura cena,
                        Scelga qual più vorrà chi vince, e quindi
                        D’ogni nostro convito a parte sia.