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i sigilli doliari nelle basiliche cristiane 139


in Roma una formola che era colà usata? Tanto più che nell'uso per il tetto di S. Maria Maggiore di tegole munite dell'acclamazione a Cristo e ai suoi arcangeli a me sembra di intravedere qualche cosa di più del semplice arbitrio di un figulo, forse di origine orientale. Trasportate a Roma da lontani paesi in cui al principio del secolo II furono usate per combattere l'eresia degli gnostici, le misteriose sigle divennero una semplice formola deprecatoria e propiziatoria; e con esse si volle forse implorare l’intervento di Cristo e degli arcangeli a custodia di una cosa sommamente cara. Ma, poiché sul tetto di s. Maria Maggiore non compariscono i prodotti della officina Claudiana che pure nel secolo IV — epoca del sigillo di Cassio — forni Roma e i dintorni delle sue tegole, e conviene perciò pensare che gli embrici della fornace di Cassio furono commessi a una sola figulina per una grande riparazione da eseguirsi su la navata grande e su le navatelle, sorge spontanea la domanda: chi fu l’ordinatore delle tegole, e in quale occasione furono condotti i risarcimenti, di cui è rimasto cosi evidente indizio?

Il Liber pontificalis1 nella vita del papa Liberio riferisce che hic fecit basilicam nomini suo iuxta macellum Liviae. Il macello si estendeva precisamente dinanzi alla basilica di s. Maria Maggiore; e io mi riferisco a quanto scrissi nel Nuovo Bullettino per provare che Liberio non fece che convertire in edificio sacro una basilica privata preesistente. Aggiungendo a questa basilica un’abside, egli molto verosimilmente nulla toccò dell’antico e primitivo tetto; e dalla dedica di Liberio fino alla morte di Bonifacio IV (615) non si ha nessun riscontro storico che possa aver dato luogo a un considerevole risarcimento del tetto medesimo. Solo l’elezione di Damaso potè porgere occasione a restauri grandiosi di quella parte dell’edificio. Poiché noi da Àmmiano Marcellino, da s. Girolamo, da Rufino e dal decreto di Valentiniano (ubi redditur basilica Sicinini) sappiamo come la fazione di Ursino o Ursicino, opponendosi alla elezione di Damaso, occupò la basilica Liberiana. I partigiani di Damaso, reso vano ogni altro tentativo, salirono sul tetto e su gli avversari rinchiusi cominciarono a scagliare numerose tegole, fino a che non si arresero. Se, come ho detto, nessun altro fatto ci è narrato dalla storia che possa giustificare il grande restauro del tetto, convien dire che questa e non altra sia l’orìgine del sigillo di Cassio, tanto spesso ripetuto sulle tegole del tetto di s. Marìa Maggiore. E questo grande risarcimento è il primo dei tanti lavori che furono ordinati nelle basiliche di Roma da Damaso, il quale commosso dal triste fatto avvenuto per la sua elezione e giustamente preoccupato dinanzi alla propria coscienza e dinanzi a Dio, si diede con ogni sollecitudine a procacciarsi intercessori col promuovere il culto dei martiri, e anche nel restauro del tetto pose una preghiera, una invocazione, per implorare che mai più tali scene si ripetessero.


Ma oltre locali testimonianze storiche, ho detto in principio che l’analisi dei sigilli doliari mi ha permesso di stabilire fatti generali riguardo all’esercizio delle figuline. Non voglio ripetere ciò che ho detto né intendo di anticipare ciò che sarà oggetto di prossimi lavori. Mi basta per il momento accennare che, rivolta l’attenzione su i sigilli provenienti dalle figuline dei Cesari o dalle fornaci provenienti dai predii imperiali, dalle indicazioni di località esistenti nei bolli stessi e dal confronto delle testimonianze storiche con l’analisi geologica dei luoghi, mi fu dato di dedurre che i figuli dovettero servirsi per la fabbricazione dei loro prodotti essenzialmente di qnel banco d’argilla di formazione terziaria che è nel colle Vaticano, in prossimità del monte Mario e del Gianicolo, e che si inalza per ottanta metri sul livello del mare, e scende e

  1. Ed. Duchesne, I, p. 20.