Pagina:Avventure di Robinson Crusoe.djvu/327

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robinson crusoe 281

— «Me morire quando voi comandarmi morire, padrone.»

In quell’accesso di furore presi le armi che aveva caricate, e che ci spartimmo fra noi. Posi tre moschetti su le spalle a Venerdì, e gli diedi una pistola da mettersi alla cintura; l’altra pistola e gli altri tre schioppi me li tenni io, e così armati c’incamminammo. Postomi in tasca un piccolo fiaschetto di rum, feci portare a Venerdì una bisaccia piena di polvere e di pallini e verghe di piombo, imponendogli di starmi sempre vicino e di non moversi o sparare o fare alcuna cosa, s’io non gliela comandava, ed intanto di non dire una parola. Così presi una giravolta per evitare la caletta e guadagnare la selva per mettermi in posizione di avere a tiro costoro prima di esserne scoperto: cosa che col mio cannocchiale conobbi di facile riuscita.

Ma lungo il cammino, ridestatisi nella mia mente gli antichi pensieri, cominciò ad affievolirsi in me la presa risoluzione. Nè credeste già che mi sgomentassi del numero; essendo ignudi e disarmati quei miserabili, certamente il vantaggio contr’essi era dalla parte mia, e sarebbe stato quando anche mi fossi trovato solo. Tutt’altro era il motivo della mia perplessità. Qual diritto, qual cagione, e molto meno qual necessità mi spingeva ad imbrattare le mie mani nel sangue, ad assalire un popolo che nè mi avea offeso, nè avea manifestata veruna intenzione di offendermi? di un popolo che rispetto a me era innocente, e i cui barbari usi erano una sua disgrazia soltanto, un contrassegno dell’abbandono di Dio, che insieme all’altre nazioni di quella parte di globo gli ha lasciati in preda alla loro stupidezza, alla loro inumanità, ma che non ha chiamato me a giudicarne le azioni, e meno a farmi esecutore della sua giustizia? Ben questo Dio avrebbe saputo, quando lo avesse giudicato opportuno, castigar quelle genti siccome popolo, e per delitti nazionali esercitare una nazionale vendetta; ma questo non era mio uffizio. Poteva, egli è vero, essere scusabile Venerdì, chiarito nemico ed in istato di guerra con quel dato popolo, onde l’assalirlo era un atto legittimo dal canto suo; ma per parte mia io non avea veruna di queste scuse da addurre. Tutto queste considerazioni m’incalzarono con tal forza lungo la strada, che risolvei pormi soltanto in vicinanza di que’ selvaggi per osservare la barbara loro festa, poi comportarmi siccome Dio m’avrebbe inspirato, ma di non frammettermi come attore, semprechè non mi si offrisse tal conseguenza ch’io ravvisassi in essa una chiamata di Dio.