Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/107

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Due recavano i quarti d’una grossa antilope, gli altri due, uno la testa, l’altro la pelle. Quei belli umori avevano trovato il tempo per iscuoiarlo, squartarlo ed arrostirsene anche un pezzo per colazione, proprio sul luogo della strage.

Ci raccontarono di averla attesa lungamente in aguato, presso l’acqua Osch, e quando appunto disperavano di non averla più a tiro, si fu allora che per fortuna nostra, e per disdetta della povera bestia, la trappola aveva avuto il suo successo.

L’animale non era solo; lo seguiva il suo piccolo nato, che però non uccisero; tanta compassione ne presero all’udire i suoi lamenti, allorchè la madre gli cadde ai piedi traforata da due palle. L’innocente bestiuola attorniava la povera agonizzante, leccandola e quasi chiamandola.

I cacciatori si erano provati a prender vivo quel piccino, ma questi sfuggiva lesto alle loro insidie; potevano però ucciderlo, ma, come dissi più sopra, impietositi, non lo fecero. Dopo la colazione divisero il carico fra loro e ritornarono allo steccato.

Noi fummo addosso ai compagni, gongolando alla vista della selvaggina; li sgravammo caritatevolmente del peso soverchio e ci disponemmo a cuocere quel tanto che bastasse pel pranzo.

E siccome, a motivo dell’eccessivo calore, le carni non duravano sane che sole poche ore, così ne tagliammo il superfluo a lunghe fette e sottili, ponendole a seccare. Sotto i raggi di quel sole cocente in poco più di mezz’ora erano all’ordine quanto il cuoio delle nostre scarpe.

Le riponemmo quindi entro a piccoli sacchetti, e,