Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/113

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l’ospitalità con tutte le sue forze e impegnandosi a difendere in comune la novella tribù che, sotto gli auspici della piccola colonia, stava già per costituirsi.

Il padre Stella accettò la proposta col massimo piacere, e ciò, sia per accrescere il numero dei difensori della colonia, sia per aumentare le braccia pel lavoro dei campi, il che era oltremodo necessario.

Dopo un’ora e più, la seduta venne levata, colla conclusione che, in brevissimo volger di giorni, la fusione delle genti di quel Capo con la nostra colonia sarebbe stata compiuta.

Partirono quindi dopo il cerimoniale di congedo, consistente in molti, continuati, profondi inchini.

Pochi giorni appresso giunsero a noi altri due visitatori. Erano due eremiti, calati da un éremo situato nelle maggiori alture del Zadamba; due uomini di media statura, di tinta nero-lucente, scarni, macilenti, coperti di una veste di paglia, con un curioso berretto rotondo in capo, specie di paniere contesto a vimini di piante indigene. Tenevano in mano una coda di montone, col ciuffo della quale si usa colà scacciare i moscherini, che abbondano specialmente nella sommità di Zadamba.

Appartenevano essi alla provincia amarica, e vivevano in solitudine, coltivando da sè il terreno, e vivendo coi prodotti del suolo. D’inverno si cibavano di sole frutta secche e bevevano acqua di sorgente che attingevano a certi piccoli serbatoî naturali, formati quà e là dagli scoli della montagna.

Miracolo di longevità, uno di quei monaci contava un secolo e mezzo, l’altro era presso ai cent’anni, e tuttavia erano forti e suscettibili di sostenere fatiche quanto uno di noi.