Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/174

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Già fino dal giorno innanzi, lo spagnuolo Glaudios avevaci fatto pervenire una lettera, in cui ci avvisava che i soldati di Gheremetim, fra qualche giorno, avrebbero rioccupato Keren, e ch’egli e gli altri, ivi rimasti, pativano la fame. Ci si annunziava inoltre l’avvenuta morte di un camello.

A giorno avanzato erano anche giunti di ritorno i due inviati a Desiaciailo, i quali ci avevano recato la risposta di quel principe.

Egli aveva dichiarato che non ebbe mai l’intenzione di molestarci, che era sempre riconoscente verso Stella, ed onesto osservatore delle proprie promesse. In prova anzi di ciò, egli avrebbe mandato ordini al generale Gheremetim di non recarci oltraggi di sorta, e di lasciarci libero il soggiorno in Sciotel e franche tutte le vie, se mai avessimo deciso di abbandonare le nostre posizioni, sia per trasferirci in altro luogo, sia per far ritorno in Europa.

Malgrado ciò, siccome non avevamo più fede nella riuscita della impresa, la decisione della nostra partenza non venne punto rimossa.

Così, dopo tanti patimenti, dopo tante angustie, dopo tante speranze ed illusioni, il sole del 28 settembre 1867 ci vide finalmente abbandonare quella cinta, entro alla quale avevamo tanto patito e tanto sperato. Eravamo in quattro; i primi che si erano decisi al doloroso passo: io, Gentilomo, il toscano Stefano e Cicco napoletano.

Non dimenticherò mai il dolore che provai nel dividermi dal padre Stella e dagli altri compagni: dolore, la cui rimembranza mi trasse più volte a spargere lagrime di commozione; dolore che non si è ancora raddolcito, malgrado siano scorsi digià otto anni dal giorno