Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/51

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Benchè fossimo già stati adocchiati dalla terribile coppia, tuttavia il maschio pareva se ne curasse poco; anzi s’era posto maestosamente a giacere, mentre la leonessa gli girava all’intorno, senza togliere lo sguardo da noi, quasi bramosa di cimentarsi.

Alcuni servi chiesero allo Stella il permesso di puntare i fucili per iscaricarli su quel gruppo; ma egli non vi acconsentì, sapendo, che qualora i colpi non avessero raggiunto lo scopo di ucciderli sul fatto, la nostra brigata sarebbesi trovata a mal partito, e difficilmente avrebbesi potuto sostenere l’assalto delle due bestie ferite.

Fu quindi miglior partito il lasciarle in pace, tanto più che il leone non mostravasi disposto affatto ad entrare in lizza, e la sua compagna erasi calmata dei primi trasporti e s’era accovacciata presso di lui.

Quando il signor Stella lo credette opportuno, ci fece alzare e proseguire la marcia. Molti luoghi, pei quali passavamo erano perfettamente noti al nostro egregio condottiero, ed egli c’intratteneva con racconti e con descrizioni dei luoghi e delle avventure toccategli, nonchè dei disastri ai quali erano soggiaciuti altri illustri viaggiatori e perlustratori dell’Africa.

Il tempo così trascorreva più sollecito che mai, e sopportavamo, quasi senza addarsene, le grandi fatiche del viaggio.

Era scorso forse un giorno dalla nostra partenza da Cassala, allorchè, verso le quattro e mezzo pom., la mia mala ventura mi spinse ad allontanarmi dai miei compagni per esercitarmi alla caccia.

Mi tenni a destra della carovana e sempre in vista della medesima, avendo meco il fucile, il mio vecchio saccopane, e la boraccia del cognak.