Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
a lui la voce del nostro viaggio, e ciò non deve far meraviglia, dacchè si sappia che in quelle regioni non si fa uso di staffette a cavallo, ma invece se ne adoperano di quelle a due piedi, che nulla lasciano per certo a desiderare rispetto a sollecitudine. Una notizia si divulga colà fra le varie tribù colla celerità del vento, specialmente se straordinaria, com’era quella della nostra escursione.
Il sig. Stella incaricò Olda-Gabriel di provvedere alcune stuoie per nostro uso, genere ch’ivi si trova assai facilmente. Lo stesso sig. Stella ebbe vari colloqui col Capo di quella tribù giunto dappoi, e col quale proseguimmo il cammino fino a Zaghà.
I due fratelli Deghlel si presentarono all’ingresso della cinta a darci il benvenuto. Erano essi due nomini tarchiati, specialmente il maggiore di età, un vero Ercole, d’aspetto maestoso, imponente. La sua cortissima capigliatura, addicevasi assai bene a quella faccia austera.
Avvolgevasi in un manto di grossa tela, portava dei gingilli d’oro, in forma di anelli, agli orecchi — segnale di nobiltà; — dalle spalle, mediante una ciarpa, pendevagli la scimitarra riccamente lavorata e il braccio destro aveva cinto da cerchietti metallici recanti inscrizioni del Corano; era infine uomo, di voce robusta e di pochissime parole.
Il minore era più snello; la sua capigliatura copiosissima e nero-lucente, stava raccolta e costretta da un lungo e grosso spillo d’avorio; intorno ai fianchi cingeva una specie di grembiale di grossa tela; un cordone al collo sosteneva un frutto recato dalla Mecca che gli scendeva sul petto; le braccia, le gambe ed i piedi aveva nudi.