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dei comuni 195

ridotta ad obbedienza per intervenzione di san Bernardo il gran pacificatore. Ma sorsero intanto nuovi turbamenti in Roma per Arnaldo da Brescia, un riformatore ostile e inopportuno della Chiesa, ultimamente e bene riformata da Gregorio VII e i successori. Fu condannato in concilio fin dal 1139, e combattuto anch’esso da san Bernardo. Continuò Ruggieri sue guerre di conquista e riunione del Regno, e gli fu confermato questo [1139] da papa Innocenzo II. E morto Innocenzo [1143], succedettergli Celestino II, Lucio II, Eugenio III, buoni pontefici, turbati da’ grandi romani costituitisi in senato; imitazione forse buona de’ nuovi Consigli di credenza, ma fatta risibile dalla formola di «senatus populusque romanus», che si riprese. Le grandi formole usate nelle cose piccole non servono che a far sentire tal piccolezza. In Toscana e Lombardia guerreggiaronsi peggio che mai le cittá; Roma contra Tivoli, Milano contra Cremona, Milano contra Como, Pavia contra Verona, Verona contra Padova, Padova contra Venezia, Venezia contra Ravenna, Piacenza e Milano contra Parma e Cremona, Modena e Reggio e Parma contra Bologna, Bologna e Faenza contra Ravenna ed Imola e Forlí, Verona e Vicenza contra Padova e Treviso, Venezia contra Pisa, Pisa e Firenze contra Lucca e Siena; trista lista abbreviata sui cenni probabilmente non compiuti del Muratori, e che ho voluto qui porre a mostrare quali fossero in generale gli errori della gioventú di que’ comuni, quali in particolare lor mali apparecchi alla grande occasione nazionale che s’appressava. Né ciò era tutto; dividevasi ogni cittá in parti pro o contra l’imperio, pro o contra ogni discesa imperiale, pro o contra que’ nobili, que’ capitani o cattani, rinchiusi gli uni in lor castella e talor pretendenti alla signoria feodale della cittá, aggregati gli altri alle cittadinanze e rinchiusi in loro alberghi o case consortili. Era uno sminuzzamento di potenza, una discordia universale, maggiore che non la feodale stessa; migliore in ciò solo, che la discordia era almeno per gli interessi di tutti e non dei pochi tiranneggianti. Ma le discordie, quali che sieno, son mali apparecchi, perdizioni delle occasioni nazionali. E tanto piú che le discordie non sogliono essere altro che invidie; e le