sregolature, colpi di genio, miracoli. Si tentò uno di questi addí 6
maggio. S’assalí Verona, la gran piazza d’armi d’Austria in Italia,
con fanti, cavalli, e pezzi di campagna: riuscí come sogliono tali
miracoli; fu respinto l’esercito piemontese da Santa Lucia dove era
giunto, fu salvo nel ritirarsi dal bravo duca di Savoia. Allora si
ricorse alle regole; e riuscirono a bene. In regola si fecero venir
le artiglierie grosse; in regola si camminò per le trincee, si fecero
parallele, si costrussero batterie, si aprí il loro fuoco [18 maggio]
contro Peschiera, sotto gli ordini del duca di Genova; e in regola si
propose una capitolazione, addí 26, ed in regola fu ricusata. Intanto
Radetzki, l’insultato, ma ammirabil vecchio di 86 anni, si moveva
da Verona addí 27, per far levar l’assedio con bella operazione.
Veniva a Mantova [28], assaliva il mattino appresso con quarantamila
i cinquemila toscani e pochi napoletani, staccati, od anzi, pur
troppo, sacrificati a Curtatone e Montanara; e i toscani mostrarono
costí non essere la mancanza di valor naturale, e nemmeno quella
della disciplina che impedisca di diventar militare, ma solamente la
colpevole trascuranza de’ loro governanti, o forse l’avarizia del paese
che non vuole avere esercito per non ispendervi. Ad ogni modo, si
fecero uccidere al loro posto, gloriosamente. Né fu forse inutilmente
del tutto: ché, fosse Radetzki indugiato da tal resistenza od altro, il
fatto sta ch’ei non proseguí in quel giorno, e non giunse se non alla
dimane [30] all’attacco disegnato sulla punta della destra piemontese a
Goito. Ed ivi con bella e pronta riunione di sue truppe giá stava Carlo
Alberto. S’appiccò la battaglia poche ore prima della notte; fu diretta
bene, in buona regola, e vinta da Bava. Né era finita del tutto, quando
giunse sul campo la nuova della resa di Peschiera, conseguita il
medesimo dí. Questa giornata del 30 maggio a Goito fu la piú bella di
quella campagna, che fu la piú bella che siasi fatta mai dagli italiani
da sette secoli. Quel nome e quella data, ed anzi quei due mesi e
mezzo dal 18 marzo al 30 maggio, quella prima metá della campagna del
1848, rimarranno, che che sia per succedere poi, cari e sereni nella
memoria degli italiani che vi parteciparono o li videro, ed in quella pure