veggo tre
errori importanti a notare, siccome quelli d’uno scrittore il quale è
forse piú di nessun altro nelle mani de’ nostri compatrioti; tre errori
dico, uno storico, uno politico, ed uno filosofico o morale. — Errore
storico o di fatto parmi il dire, che fossero egualmente o similmente
infelici i popoli della monarchia di Savoia e quelli delle province
spagnuole. Certo le sollevazioni popolari cosí frequenti, cosí grosse,
cosí centrali de’ due regni spagnuoli, non furono nella monarchia di
Savoia. Qui non s’ebbero, se non quelle molto minori, parziali, e per
cause speciali, de’ valdesi e di Mondoví. E qui, all’incontro, fu
fatta una sollevazione, tutta lealtá ed amore, da’ torinesi contra a’
francesi, un dí del 1611, che si sparse la voce, aver questi morto
il duca Carlo Emmanuele I; il quale fu pure il principe di Savoia
che abbia mai stancato di piú guerre e piú tasse i popoli suoi.
Ancora, quell’altro Carlo Emmanuele II che morí in mezzo al popolo
suo introdotto in palazzo (di che non so forse una piú bella scena in
nessuna monarchia), quel Carlo Emmanuele II, egli pure avea stanco di
guerra nella prima metá del regno suo e stanco di edificazioni nella
seconda metá i popoli suoi. Come tuttociò? Come tant’amore reciproco?
Certo, o bisogna dire che i piemontesi d’allora fossero il piú vil
popolo del mondo ad amar cosí i loro oppressori (il che è dimostrato
falso dalla loro perseveranza ed alacritá militari, che son qualitá
incompatibili coll’avvilimento de’ popoli); o bisogna dire che fosse
pure alcun che, che unisse que’ principi e que’ popoli piemontesi
sinceramente, strettamente, appassionatamente tra sé, a malgrado le
gravezze. Né è poi difficile a scoprire quell’alcun che. Appunto,
perché non vili originariamente, e non corrotti dalla invecchiata
civiltá e dalle scellerate politiche del resto d’Italia, ma anzi
nuovi, ma virtuosamente rozzi e quasi antichi erano que’ piemontesi,
perciò virtuosamente, alacremente soffrivano le inevitabili gravezze
recate dagli stranieri, e pesanti sui principi loro non meno che
su essi; e soffrendole insieme, si compativano, si stringevano, si
amavano; ed insieme con amore operando, erano meno infelici nelle
sventure, felicissimi ne’ ritorni di fortuna. E poi, qual paragone
fare tra le gravezze,