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IL BANDELLO

al magnifico e vertuoso

messer

giovanni battista schiaffenato


Quanto s’ingannino, Schiaffenato mio gentilissimo, tutti quelli i quali, come vedeno che un uomo vagheggia qualche donna, che per lei sospira o fa di quelle pazzie che communemente fanno quelli che paiono innamorati, dicono: — Costui ama la tal donna, — e chiamano l’appetito amore, assai è noto appo quelli che conoscono le differenze che i savi e dottrinati uomini ragionevolmente hanno messe ne le potenze de l’anima nostra. Ed ancor che amore sia affetto de l’appetito concupiscibile, bisogna divider questo amore in molte specie per venire al vero e perfetto amore; ma questa sarebbe troppo lunga disputa e cosa da filosofo. Tuttavia, per venir a quello che mosso mi ha a scrivervi, vi dico che ne le cose naturali, per conservar l’esser loro, è ordinato da la natura, non solamente per un istinto naturale, che debbiano seguir ciò che giova e fuggir ciò che nuoce, ma anco fa germogliare in loro una inclinazione di resister con ogni sforzo a tutto quello che tal seguimento o fuga gli impedisce. Il medesimo è in noi, a cui la natura ha donato un appetito di bramar ogni cosa che buona ci paia, e per il contrario di schifar ciò che giudichiamo esserci nocivo, il che è che, secondo i peripatetici, l’appetito concupiscibile ha anco a noi fatto cortese dono d’un appetito, col quale ci sforziamo di far contesa a chi vietar ci volesse il conseguimento del bene, o vero impedirci che schermo non facessimo al male, che appetito irascibile vien detto. Devete poi sapere che gli affetti che in questi appetiti sono, ancor che siano atti a sottoporsi a la ragione, nondimeno, quanto in loro è,