Pagina:Bandello - Novelle, Laterza 1911, III.djvu/160

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NOVELLA XXVII <57 ponno, si sforzano almeno adornar i sacri altari di frondi e fiori ; i quali io imitando, questi pochi frutti del mio steril ingegno al vostro sacrario offerisco. Feliciti nostro signor Iddio tutti i vostri pensieri, dandovi quanto desiderate; ed a la vostra grazia, basciandovi le sacre mani, umilmente mi raccomando. State sano. NOVELLA XXVII Istoria de l’origine dei signori marchesi del Carretto e d’altri marchesati in Monferrato e ne le Langhe. Narrano l’antiche istorie dei regi e duci de la Sassonia che Ottone, di questo nome primo tra’tedeschi imperadore, nacque d’una figliuola del re di Sassonia, la qual provincia fu di regno fatta ducato ed oggi anco con tal titolo si governa. Ebbe questo Ottone da Madidi sua moglie un figliuolo che Ottone medesimamente si chiamò, che anco egli fu imperadore e si disse Ottone secondo, il quale per la benignità de la sua natura fu da tutti detto « l’amor del mondo », perciò che mal volentieri contristava nessuno e a tutti averebbe voluto far piacere. Nondimeno egli fu bellicoso e per mantener le giurisdizioni de l’imperio fece bellissime imprese. Aveva egli una gentilissima figliuola di più alto core che a donna non conveniva, che Adelasia si chiamava. Era in corte al servigio di questo Ottone secondo uno dei figliuoli del duca di Sassonia nomato Aleramo, giovine molto bello e ne le lettere assai ben instrutto, al quale il padre morendo, perché non era il primogenito, aveva lasciato per eredità alcune castella in Sassonia con assai buona entrata. Egli tra tutti quelli che in corte erano portava il nome del più prode de la persona che ci fosse, di maniera che essendo anco d'elevato ingegno, in tutte l’azioni sue si diportava di modo che non ci era alcuno che a lui agguagliar si potesse. Avvenne un giorno tra gli altri che facendosi una caccia, oltra le fere e selvaggine che i cani presero, furono alcuni di quei giovini cortegiani i quali insieme animosamente si misero per conquistar un orso che fuor de la grotta era uscito. Ma nessuno fu che più valorosamente si diportasse di Aleramo, il quale, disceso da cavallo perciò che per '