Pagina:Bandello - Novelle, Laterza 1911, III.djvu/303

Da Wikisource.

3oo PARTE SECONDA che sperimentare se non buttarmi, conte mio caro, ne le vostre braccia. Voi la vostra mercé al tempo di mio padre più e più volte in mille imprese che non meno di periglio che eli gloria avevano, e poco avanti in Scozia per me ed in Francia, abon- devolmente il sangue vostro avete offerto e talora anco sparso. Voi — echi lo sa meglio di me? — in molti perigliosi casi, d'ottimo conseglio sovvenuto m’avete e mostratomi il dritto camino per condur l’imprese al più facil e desiato fine, né una volta sola a farmi servigio e profitto vi séte ritroso o stracco mostrato già mai. E perché da voi dunque non debbo in tanto mio bisogno sperar tutta quella aita che uomo da uomo aspettar possa? chi sarà colui che le sue parole mi neghi a favor mio spargere, se già a mio profitto il sangue ha sparso? Io, o conte, altro soccorso da voi non voglio che di parole, le quali se faranno quel frutto che io, se vorrete voi di buon cor servirmi, aspettar posso e sperare, vosco m’offero il mio reame partire e farvene tutta quella parte che più vi sarà a grado. E se forse ciò ch’io vi chiederò vi parrà troppo duro a mandarlo ad essecuzione, considerate, vi prego, che un servigio tanto è più gradito quanto con più difficultà si fa, quanta più fatica vi si dura e pena vi si mette, e quanto più di travaglio e di sconcio piglia colui che vuol l’amico suo servire. Pensate medesimamente quello che sia aver un re in abbandono, del quale ad ogni vostra voglia possiate prevalervi e disponer il tutto come più v’aggradirà. Voi avete quattro figliuoli maschi, né a tutti onoratamente sodisfar potete, onde io v’impegno la fede mia che ai tre ultimi di stato tale provederò che mai non porteranno al maggiore invidia. Voi sapete pure com’io so gratificare chi mi serve. Pertanto, se a voi di ciò che da voi desidero parrà quello che a me pare, in breve vederete il frutto che ve ne seguirà; ché se io non sono stato agli altri ingrato, a voi meno sarò, ne le cui mani metto la vita e la morte mia. — In questo parlare il re da gravi singhiozzi subito impedito e da caldissime lagrime sovrapreso, non possendo più favellare, si tacque. Il conte, udite le parole del suo re che non mezzanamente amava, e le lagrime vedute che d’interna e gravissima passione facevano' manifesta fede, né