Pagina:Bandello - Novelle. 2, 1853.djvu/278

Da Wikisource.

come ordinariamente fa a chi dei nostri gentiluomini veneziani ci càpita; oltra che poche segnalate persone càpitano a Verona che egli non levi da l’osteria e conduca a casa sua, onorando ciascuno secondo la qualità e valore degli uomini. E nel vero io ho veduti pochi suoi pari che sappiano accarezzare così umanamente un forestiero come egli festeggia, intertiene ed onora. Questo maggio passato, se vi ricorda, vennero a Verona alcuni signori e signore mantovane ai quali qui in questo proprio luogo, ai Lanfranchini e sul lago di Garda fece conviti sontuosissimi, di modo che non ci fu persona che non rimanesse stupefatta de la delicatura, copia e varietà dei cibi e del quieto e bellissimo ordine del servire; ed alora la vertuosa e gentilissima signora sua consorte che quivi vedete non ci puotè essere, perciò che non era una settimana che di parto giaceva nel letto. Avete veduto che desinar è stato quello d’oggi, e la cena vederete che non sarà meno un pelo, anzi ci sarà alcuna cosa da vantaggio. Ma io vi vo’ far vedere che quando a mezzo giorno è il cielo senza una minima nugoletta sereno, che il sole risplenda, che chi non è orbo il vede chiarissimamente, come al presente si vede: così voglio io farvi conoscer la generosità, lo splendore e la cortese liberalità di questo valoroso signore, quasi che tutto ’l dì non si veda e si tocchi con mano. Or ecco che esso signor Cesare se ne ritorna qui ed io a lui mi volterò. Quando voi di qui vi partiste noi eravamo, signor mio, entrati a ragionar de l’eloquente e facondissimo messer Giovanni Boccaccio e de le beffe fatte da Bruno e Buffalmacco a Calandrino lor sozio ed a maestro Simone, quando fu fatto cavalier bagnato di Laterino per voler esser innamorato de la contessa di Civillari. E certamente non si può se non dire che tra l’altre opere in lingua toscana d’esso Boccaccio il Decamerone sia da esser più lodato di tutte. E ben meritamente il nostro eccellente dottore messer Lodovico Aligeri Dante, ricordandosi che i suoi avoli ebbero l’origine loro da Firenze, l’ha lodato come suo cittadino e s’è allegrato a sentirne parlare; il che dimostra la generosità de l’animo suo e l’amore verso l’antica sua patria. Io medesimamente tutte le volte che mi occorre veder o sentir ragionar dei nostri de la Torre, che cacciati fuor di Milano di cui erano signori e per l’Italia in varii luoghi dispersi, mantengono ancora per tutto l’antica lor nobiltà, non posso fare che non mi rallegri, parendo pure che la natura ed il sangue m’inchini e tiri ad amarli. Vedo altresì voi, signor Cesare, onorare, accarezzare e volentier veder tutti i vostri Fregosi che per l’Italia ne l’arte