Pagina:Bandello - Novelle. 4, 1853.djvu/282

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piacere è stato il vostro, quando, gabbandovi di me, senza che io vi nocesse già mai, in luoco così publico mi avete detto ciò che vi è paruto! Or godetevi di quello bene che solamente a me apperteneva e non ad altri. Ora beffatevi di quella che si persuadeva, per celare li suoi affari e vertuosamente amare, essere libera da ogni burla. E pur il motto de l’abbaiare, aimè! mi ha impiagato il core, fatto arrossire in viso e impallidire di gielosia. Ahi! misero cor mio, chiaramente sento che più stare in vita non puoi! L’amore male conosciuto ti abbruscia, la gielosia e il torto ricevuto ti agghiaccia e ancide, e l’ingiuria, con la doglia infinita che soffro, non permette in modo [nessuno] che io consolazione alcuna porgere ti possa, essendo, come sono, la più sconsolata donna che nascesse già mai. Ahi! povera anima mia e sciagurata, che, per troppo avere amata anzi pur adorata la creatura, ho posto in oblio il mio creatore! Egli ti bisogna, anima mia, con vera contrizione de li peccati tuoi tornare a la immensa misericordia del tuo Salvatore, il quale per vano amore quasi hai rinegato. Confidati fermamente, o anima mia, che se tu con la penitenza de li tuoi passati errori a lui ricorrerai, che senza dubbio veruno lo troverai migliore e più amorevole padre, che io non ho saputo trovare buono e leale amico e marito colui per lo quale assai sovente l’aveva offeso. Ahi, Dio mio e creatore mio, che sei il vero e perfetto amore, per la cui grazia lo amore che ho portato al mio consorte punto non ho macchiato di alcuno vizio, se non di troppo amare chi non devea e tenere contra le canoniche leggi il matrimonio celato, io umilmente supplico la pietosa misericordia tua e quello sviscerato tuo amore, che ti fece mandare l’unico tuo figliuolo a prendere carne umana e soffrire morte acerbissima e ignominiosa per salvare la generazione umana, ti prego e riprego, Signore mio, che degni per sola grazia tua ricevere l’anima di colei che, dolente e pentuta di averti offeso e non servati i commandamenti tuoi, si chiama in colpa. Ti resupplico, Signor, per li meriti del tuo figliuolo, che tu inspiri il mio poco amorevole e a me infedele e ingrato marito a riconoscere l’errore suo che contra me egli ha fatto. – E volendo più oltra dire, la sfortunata dama isvenne, di tal maniera in viso cangiata che rassembrava a una imagine di candidissimo marmo. Mentre essa faceva così dolenti e pietosi rammarichi, e, quasi di sè fora, di Carlo si lamentava, esso Carlo, intrando in sala e quivi non veggendo la sua donna, intrò in camera ove il duca passeggiava; il quale, come vide Carlo, pensò molto bene che la sua donna cercava, e, accostatosi a lui, pian piano li disse: – Ella è in la