Pagina:Barzini - Sui monti, nel cielo e nel mare. La guerra d'Italia (gennaio-giugno 1916), 1917.djvu/119

Da Wikisource.

l'assalto 109


avevano mostrato tanta esultanza. Gridavano in italiano ai nostri: «Andate via! Da qui non ci sloggiate più! Quassù non ci tornerete mai! Oggi Pal Piccolo, domani Pal Grande!».

Fino dalla sera prima si era manifestato clamorosamente questo entusiasmo. Verso le nove, tutte le trincee austriache, in certi punti lontane appena venti metri da quelle italiane, si erano fatte rumorose. Per solito nelle nostre si ride, si parla, si canta; nelle loro il silenzio è assoluto, profondo, sinistro; nulla può dare l’espressione truce di quelle fosse piene di uomini che non hanno voce, che non danno segno di vita. Urrah e canti erano scoppiati improvvisamente su tutte le posizioni nemiche. Noi, meravigliati, avevamo creduto a qualche festività, e non avevamo dato importanza al gridìo, che salutava forse la lettura di un proclama.

La gioia austriaca nasceva dalla certezza. Il nemico credeva giunta l'ora della rivincita. Bisogna riconoscere che il piano di attacco era così ben preparato da giustificare la sicurezza del successo.

Appena presa, la posizione era trasformata. Vi era affluito un materiale enorme di difesa: sacchi a terra, scudi di acciaio, quattro mitragliatrici, granate a mano, masse di munizioni. Tutto era pronto, studiato, calcolato.

«Bisogna agire subito! — ordinava il comando della zona. — Ogni ora che passa ci