Pagina:Barzini - Sui monti, nel cielo e nel mare. La guerra d'Italia (gennaio-giugno 1916), 1917.djvu/198

Da Wikisource.



SUL VERTICE DEL MONTE NERO.

Aprile.

Ascendevamo verso l’estrema vetta del Monte Nero in un abbacinante fulgore di nevi soleggiate.

La spalla accessibile della immane guglia, tagliata a picco sugli altri lati, si presentava a piano inclinato, simile ad uno smisurato trampolino, tutta bianca, senza una macchia, senza rilievi.

Superate le erte pendici del massiccio, sulla convulsione gigantesca delle rocce dirupate, trovavamo alla fine la calma strana, la eguaglianza imponente di una gran tavola a declivio, pareggiata da enormi spessori di neve, con i bordi profilati nel cielo. Eravamo sul tetto ripido del Monte Nero.

Della montagna non vedevamo più che quella incontaminata mollezza, che faceva pensare al dorso di una nube. Gli speroni, le balze, il gran piedistallo della vetta, erano scomparsi. Ci sentivamo prodigiosamente in alto, sopra un tappeto di candore che saliva, teso nel sereno, al disopra del mondo. La vastità della visione stordiva.