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la rappresaglia 219


L’aeroplano nemico compiva il terzo attacco. È arrivata la terza raffica.

Il pilota che aveva la spalla trapassata è caduto. Un’altra pallottola lo aveva finito, traversandogli il cuore.

Nel giro di qualche minuto, l’uomo al volante, col suo cranio tagliato, si è ritrovato unico sopravvivente dell’equipaggio sulla gigantesca macchina alata, dalla quale stille di sangue piovevano sulla terra lontana. Mai la morte era salita così in alto nel cielo.

Gli avversarii, finite le munizioni, volavano vicinissimi ora, facendo cenno al superstite di atterrare.

Passavano e ripassavano gestendo, offrendo la resa, e le loro mani protese ripetevano: «Giù, giù! Calati! Calati dunque! Che aspetti?»

Ma il pilota italiano oscillava la testa ferita in una negazione ostinata, disperata, sublime.

Aveva i piedi nel sangue. I suoi compagni gli erano caduti così vicini che i loro cadaveri imbarazzavano la manovra. Sul volante pesava il corpo dell’ufficiale osservatore. Con uno sforzo penoso il pilota ha dovuto spostarlo, lo ha rovesciato in avanti sul bordo della prora, al quale è rimasto appoggiato con la fronte, le braccia pendenti, tutto raccolto come in un sonno profondo. L’altro cadavere era caduto sulla pompa della pressione, fra i due seggiolini affiancati, e per farla agire l’eroe era costret-