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squadriglia in missione 263


tori, elettricisti e dinamo, nocchieri e timone, non sono più che degli organismi pensanti, docili, esatti, poderosi.


Ma se non sanno dove vanno, gli equipaggi sanno bene che cosa vanno a fare. Quello sì. Per due giorni hanno lavorato ai preparativi di una missione poco ordinaria. Delle grosse chiatte hanno portato sotto bordo strani oggetti che le gru hanno issato con infinite cautele sul ponte. Erano enormi cilindri di acciaio, oscuri e tozzi, cavi, complicati, che pesavano quasi una tonnellata ognuno. Sembravano delle botti bizzarre, traforate in parte, formate da varii pezzi incastrati. Rotolandole adagio adagio le hanno disposte lungo i bordi, una vicina all’altra. Assestate su rotaie con prolungamenti a cerniera, che abbassati sporgono sull’acqua, sono state fissate con cavi di acciaio, tesi da martinetti e messi in modo da poter essere sciolti immediatamente alla trazione di un gancio a leva. «Bene — hanno detto i marinai nel loro gergo. — Questa volta andiamo a portare i regali!»

Non si sa come, da sponda a sponda, attraverso il mare delle notizie arrivino. È forse un periscopio in agguato che vede, è forse la cifra di un radiotelegramma che parla nel segreto del gabinetto criptografico: non si sa. Ma delle notizie arrivano, dei movimenti nemici trapelano. Sono informazioni vaghe, incerte,