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326 lettere dal mare


Le acque di Durazzo sono un sinistro cimitero di navi. Al limite della baia è affondato il Lika, un grande cacciatorpediniere austriaco, che venne un mattino per bombardare, durante la nostra occupazione, e rimase sventrato da una nostra torpedine. Un altro cacciatorpediniere austriaco, rimorchiato via ferito, si è inabissato più al largo. Non lontano dal Lika giace il Renaudin, cacciatorpediniere francese ammazzato da un siluro. Più vicino all’ancoraggio si leva sulle onde una cosa informe: l’avanzo del Memphi, piroscafo francese torpedinato. Poco discosto spunta sull’acqua una parte del Michael, piroscafo greco squarciato dal cannone austriaco. In fondo alla baia, quasi a secco, un ammasso di ferraglia: il Marechiaro, piccolo piroscafo italiano che serviva da trasporto ospedale e che, sfasciato e incendiato da una mina, fu rimorchiato a morire laggiù. E da ogni parte, brigantini, golette, velieri di tutti i generi, inghiottiti dal mare, sollevano fuori dell’acqua cime inclinate di alberi da cui le sartie spezzate pendono molli con serpeggiamenti da liane. Dove il fondo è basso, qualche fianco di scafo di imbarcazione affiora, mezzo demolito dalle tempeste, mostrando il costato scheletrito del suo fasciame.

Ma tutto questo era ancora lontano, e le due piccole nostre siluranti avevano intorno a loro un mare deserto e silenzioso chiuso dal grande arco del golfo, in fondo al quale la costa