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ed uscii. La chiusura della porta di casa dava prova che nella nuova Boston non si temevano i ladri.

Per ben due ore, mi aggirai per le strade della città e specialmente nella parte situata sulla penisola. Soltanto un archeologo che conosca il contrasto esistente fra la Boston del secolo decimonono e l’attuale, può farsi un’idea del mio stupore ad ogni mio passo. La città mi parve completamente straniera.

Un bambino che lasciasse la città nativa e vi tornasse dopo cinquant’anni, troverebbe bensì dei cambiamenti, ma non tali da togliere tutti i ricordi dell’infanzia. Per me invece, che avevo visto la mia città un giorno prima, l’impressione che ricevevo per quella trasformazione era oltre ogni dire indescrivibile.

Finalmente mi trovai dinanzi alla casa dalla quale ero uscito. Credo che i miei piedi mi guidassero istintivamente alla mia antica abitazione, poichè non mi rendevo conto di nulla. Quella casa però mi apparve tanto estranea, quanto qualunque altra della della città.

Se la porta ne fosse stata chiusa, non sarei entrato, pensando di non averne il diritto; ma essa cedette alla mia mano, e con passo incerto penetrai nell’appartamento. In quella solitudine mi sentivo male. Provai il bisogno di parlare con qualcuno ed in quell’istante giunse il soccorso.

Udii il fruscio di una tenda ed alzai gli occhi. Editta Leete stava dinanzi a me.

Sul suo bel viso si leggeva un sentimento di simpatia a mio riguardo.

«Che cosa è accaduto, signor West?» domandò essa. «Io era qui quando voi siete entrato, ho compresa la vostra afflizione e vedendovi sospirare non ho potuto tacere più a lungo. Posso prestarvi qualche aiuto?»

Essa, parlando, stese le mani involontariamente ed io l’afferrai e le strinsi fortemente come un uomo che in procinto di annegare si aggrappa alla corda salvatrice.

L’espressione di compassione che spirava da’ suoi begli occhi ricondusse in me la calma. La sua presenza mi tranquillò e mi confortò operando in me l’effetto di una bevanda miracolosa.