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d’incerto, anche pel Bentivoglio vecchio, che su di ciò non può o non tiene a pronunciarsi. E si errerebbe, pensiamo, se quel qualcosa d’incerto si attribuisse al ricordo da parte del Bentivoglio della condizione particolare del fratello, all’avanzarsi dell’esercito pontificio, capitano di Cesare d’Este, piuttosto che alle condizioni particolari da cui nacque e da cui fu giustificato o spiegato un avvenimento, che anche a quelli che vennero dopo ha presentato l’occasione di una divisione tra plaudenti e deprecanti. Il Bentivoglio nelle Memorie né s’entusiasma al fatto né lo depreca: il deprecarlo gli sarebbe stato impossibile anche se l’avesse voluto, l’entusiasmarsi avrebbe contrastato un po’ troppo acerbamente con le conseguenze della devoluzione che giá si notavano a Ferrara1. Altri argomenti nella seconda parte delle Memorie, dopo le lunghe pagine riguardanti collegi cardinalizi e corte pontificia: pagine queste ultime in cui non manca ciò che può suscitare interesse a figure certo insigni di ecclesiastici, e piú di ecclesiastici letterati, ma che non può negarsi contengano una uniformitá sufficiente a determinare, in qualche punto, un certo senso di naturale desiderio di ripresa piú vivace da parte dello scrittore.

  1. Della devoluzione di Ferrara alla santa sede tutti sanno quanto abbondantemente s’è scritto dagli anni dell’avvenimento in poi. Chi volesse conoscere la copiosa bibliografia che la riguarda potrebbe incominciare col vedere in Atti e memorie della deputazione ferrarese di storia patria (vol. X, 1898) lo scritto di V. Prinzivalli, La devoluzione di Ferrara alla santa sede, secondo una relazione inedita di Camillo Capilupi, e l’appendice appunto bibliografica che ad esso tien dietro. Qui però dobbiamo notare anche altra cosa. Dice il Bentivoglio nel capitolo secondo del primo libro, dopo aver parlato dell’esercito pontificio, presso cui era legato il Cardinal Aldobrandini, contro Ferrara: «Tale era lo stato delle cose narrate di sopra quando io partii da Padova e venni a Ferrara. Contra il marchese mio fratello erasi risentito gravemente il legato per averlo veduto venire con l’accennate forze alla difesa di Lugo e di quel confine; onde per giustificare lui da una parte e fare io dall’altra quella dimostrazione d’ossequio appresso il legato, che si doveva, risolvei d’andar subito a trovarlo a Faenza». Continua il Bentivoglio dicendo d’aver parlato col Cardinal Bandino, il quale l’ha consigliato ad attendere, prima d’abboccarsi col Cardinal Aldobrandini, l’imminente conclusione dell’accordo fra il legato e l’Estense: e cosí egli fece. Il Tiraboschi, invece, ingrandisce ben di piú la figura del Bentivoglio allora diciottenne, e lo anticipa addirittura diplomatico. Scrive egli, infatti: «Dopo la morte del duca Alfonso secondo seguita nell’anno 1597 egli ripatriò, e molto colla sua destrezza adoperossi, sí per riconciliare col cardinale Aldobrandini il marchese Ippolito suo fratello, che si era mostrato favorevole al duca Cesare, sí per conchiudere la pace tra questo sovrano e il pontefice Clemente VIII». E tale inesattezza venne ripetuta da altri che del Bentivoglio scrissero attingendo dal Tiraboschi, o da chi da questo aveva attinto.