Pagina:Boccaccio, Giovanni – Elegia di Madonna Fiammetta, 1939 – BEIC 1766425.djvu/13

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capitolo i 7


úda diverse ombre d’alberi vestiti di nuove frondi; e in quello diversi fiori avendo colti, de’ quali tutto il luogo era dipinto, con le candide mani, in uno lembo de’ miei vestimenti raccoltili, fiore da fiore sceglieva, e degli scelti leggiadra ghirlandetta faccendo, ne ornava la testa mia. E cosí ornata levatami, quale Proserpina3 allora che Pluto la rapí alla madre, cotale m’andava per la nuova primavera cantando; poi, forse stanca, tra la piú folta erba a giacere postami, mi posava. Ma non altramente il tenero piè d’Euridice4 trafisse il nascoso animale, che me sopra l’erbe distesa, una nascosa serpe venente tra quelle, parve che sotto la sinistra mammella mi trafiggesse; il cui morso, nella prima entrata degli acuti denti, parea che mi cocesse; ma poi, assicurata, quasi di peggio temendo, mi pareva mettere nel mio seno la fredda serpe, immaginando lei dovere, col beneficio del caldo del proprio petto, rendere a me piú benigna. La quale, piú sicura fatta per quello e piú fiera, al dato morso raggiunse la iniqua bocca, e dopo lungo spazio, avendo molto del nostro sangue bevuto, mi pareva che, me renitente, uscendo del mio seno, vaga vaga fra le prime erbe col mio spirito si partisse. Nel cui partire il chiaro giorno turbato, dietro a me vegnendo, mi copria tutta, e secondo l’andare di quella cosí la turbazione seguitava, quasi come a lei tirante fosse la moltitudine de’ nuvoli appiccata, e seguissela; e non dopo molto, come bianca pietra gittata in profonda acqua a poco a poco si toglie alla vista de’ riguardanti, cosí si tolse agli occhi miei. Allora il cielo di somme tenebre chiuso vidi, e quasi partitosi il sole, e la notte tornata pensai, quale a’ Greci tornò nel peccato d’Atreo5; e le corruscazioni correano per quello senza alcuno ordine, e i crepitanti tuoni spaventavano le terre e me similemente. Ma la piaga, la quale infino a quella ora per la sola morsura m’avea stimolata, piena rimasa di veleno vipereo, non valendovi medicina, quasi tutto il corpo con enfiatura sozzissima parea che occupasse: laonde io, prima senza spirito non so come parendomi essere rimasa, e ora sentendo la forza del veleno il cuore cercare per vie molto sottili, per le fresche erbe