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220 l'elegia di madonna fiammetta


gallo», il quale scrisse la favola di Cupido che era andato all’Èrebo, e, veduto «da le herodiade matrone», alle quali egli in questa vita «havea facto de molti gravissimi affanni suffrire», fu da esse preso e posto in croce sopra un mirto. Di tanta efficacia sono «gli amorosi advenimenti che sustengono gli innamorati pecti, che doppo questa vita cierchano anchora di quelle fiamme amorose vindicarsi». E questo ancora dimostra Virgilio nell’atteggiamento di Didone verso Enea nell’inferno. Dai pensieri amorosi procedono «tanti cocenti martiri, tante suspitione d’animo, tante mutatione di mente che meritamente quello di Plauto nella Cistellaria possiamo dire: «Io son tutto d’amore squassato, e me cruccio e sono agittato e non so dove. E son senza anima tirato e non tirato, e cosí nulla di fermo ho in l’animo mio. Sonno in un loco dove non sono e lá e l’animo mio. Sí che l’animo amoroso è come il refluxo de l’eurippo mare che mai non sta forte». Il Boccaccio scrisse quest’opera «per amore de madonna Maria figliola naturale de l’inclito re Roberto di Neapoli signore, la quale essendo in Franza maridata in uno nipote del re, per certe differenze come negli signori sogliono accadere, non fu troppo del marito contenta, ma d’uno siculo innamorata lungamente da lui abandonata si dolse; o vero d’alcuna altra de piú bassa conditione, o vero che tal cosa senza nessuno pensare egli l’abbia fatto, ch’io nol credo; pur la prima opinione mi pare essere vera. Scripsi ancora il Philostrato per costei quando il padre di madonna Maria non volse che l’andasse in Franza dal suo marito... Questo è che nel dicto libro finge Chriseida havere Troylo abandonato e essere possia de Diomede innamorata». Per il Filocolo lo Squarciafico rimanda a quanto egli aveva scritto sulla vita del Boccaccio per l’edizione di quell’opera nel 1467. In fine, l’elogio del Boccaccio come prosatore in volgare: «Quanto sia polito, terso e eloquente il nostro Boccacio, in questo suo idioma volgare ciaschuno huomo d’ingegno il può e debbe per il piú excellente che alcuno altro iudicare, dico in soluta orazione. E tutti li suoi libri quali in questa vernacula lingua egli ha scripto testimonianza verissima ni mostrano. E questo tu Phedrone che in questo e in ogni altra cosa ti reputi havere iudicio, questo per il dovere, e non ti muova l’origine di Firenze dove tu sei e de la quale il poeta di cui scriviamo fu citadino; ma la veritá ti muova a questo diffendere: perché molte fiade vi vedo a la bibliotecha del nostro Antimaco brixiense di