Pagina:Boccaccio, Giovanni – Il comento alla Divina Commedia e gli altri scritti intorno a Dante, Vol. III, 1918 – BEIC 1759627.djvu/140

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come da questa maraviglia si solva, e dice: «Però disse il maestro» (per lo credere che esso credesse ecc.): — «Se tu tronchi Qualche fraschetta d’una d’este piante, Li pensier c’hai», cioè che quegli che traggono i guai, li quali tu odi, sian gente che per noi si nasconda; «si faran tutti monchi», cioè senza alcun valore, si come è il membro monco, cioè invalido e impotente ad alcuna operazione. «Allor». Qui comincia la quarta parte della parte seconda di questo canto, nella quale l’autore fa ciò che Virgilio gli dice, e però segue: «Allor», mosso dal consiglio di Virgilio, «pòrsi la mano un po’ avante, E colsi un ramicel da un gran pruno». Chiamai «pruno», percioché era, come di sopra ha mostrato, pieno di stecchi. «E ’l tronco suo». Qui comincia la quinta parte della parte seconda di questo canto, nella quale lo spirito schiantato si rammarica; e però dice: «E ’l tronco suo», cioè quel pruno, donde còlto avea, o ver troncato il ramuscello; o, secondo che spongono altri, il tronco suo, cioè quella particella tronca da quel gran pruno; «gridò: — Perché mi schiante?». — E queste parole paiono assai dimostrare la parte schiantata esser quella che parlò, e non quella donde fu schiantata, comeché appresso paia pure aver parlato e parlare il pruno. «Da che fatto fu poi di sangue bruno», cioè tinto, il quale usciva del pruno, per quella parte donde era stato schiantato il ramuscello: «Ricominciò a gridar: —Perché mi scerpi? Non hai tu spirto di pietade alcuno?». Quasi voglia qui l’autore mostrare avere i dannati compassione l’uno delle pene dell’altro; e questo mostra, in quanto questo pruno non sapeva che l’autor fosse piú uomo che spirito. Poi segue e mostragli nelle sue parole perché di lui doveva avere alcuna pietá, dicendo: «Uomini fummo», nell’altra vita, «ed or siam fatti sterpi», in questa; «Ben dovrebb’esser la tua man piú pia», in ritenersi di non avermi schiantato, «Se stati fossimo anime di serpi», le quali, peroché crudeli animali sono, forse parrebbe che meritato avessero che verso loro non s’usasse alcuna pietá.