Pagina:Boccaccio, Giovanni – Il comento alla Divina Commedia e gli altri scritti intorno a Dante, Vol. III, 1918 – BEIC 1759627.djvu/56

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le natiche; e soleva essere la cintura istrumento opportuno a tenere ristretta la larghezza de’vestimenti, ove ne’giovani d’oggi è ornamento superfluo d’assai vii parte del corpo loro, percioché, in luogo di cinture, essi fanno ricchissime corone, e, come per addietro delle corone si solea ornar la fronte, cosi delle presenti si coronan le natiche.] «Tutto il vedrai». — Per le quali parole di Virgilio, l’autore, prestamente verso quel luogo rivoltosi, cominciò a riguardare questo messer Farinata. E però segue: «Io avea il mio viso», cioè la mia virtú visiva, «nel suo», viso, cioè negli occhi suoi, «fitto», fiso riguardando: «Ed el», cioè messer Farinata, il quale io riguardava, «s’ergea», cioè surgea, levandosi da giacere; ed ergevasi «col petto e con la fronte», li quali l’uomo levandosi mette innanzi; il che messer Farinata faceva, «Come avesse l’inferno in gran dispitto», cioè a vile e per niente: e in questo vuole l’autore mostrare messer Farinata essere stato uomo di grande animo, né averlo potuto, vivendo, piegare né rompere alcuna fatica, pericolo a avversitá. «E l’animose man»: diciamo allora le mani essere «animose», quando elle son pronte e destre all’oficio il quale esse vogliono o debhon fare; «del duca e pronte Mi pinser tra le sepolture a lui». Non è da credere che violentemente il sospignessero, ma fecero un atto, il quale colui, che bene intende, prende per sospignere, cioè per essere animato da colui che fa sembiante di sospignere ad andare; «Dicendo», in quell’atto: — «Le parole tue sien cónte», — cioè composte e ordinate a rispondere; quasi voglia dire: tu non vai a parlare ad ignorante. [Lez. XL] «Com’io al piè». Qui comincia la terza pariicula di questa terza parte principale, nella quale dimostra l’autore come con messer Farinata parlasse: dove, avanti che piú o’tre si proceda, è da mostrare chi fosse messer Farinata. Fu adunque messer Farinata cittadino di Firenze, d’una nobile famiglia chiamata gli liberti, cavaliere, secondo il temporal valore, da molto, e non solamente fu capo e maggiore della famiglia degli Uberti, ma esso fu ancora capo di parte ghibellina in Firenze, e quasi in tutta Toscana, si per lo suo valore, e si per lo stato, il