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108 Giovanni Boccacci

Tanta dolce speranza mi recava,
     Spronato dal desio di rivederti,10
     Qual ver me ti lasciai, donna, pietosa.
     Or, oltr’a quel che io, lasso, stimava1,
     Truovo mi sdegni, et non so per quai merti2:
     Per che piange nel cor l’alma dogliosa.
Et maledico i monti l’alpi e ’l mare,15
     Che mai mi ci lasciaron ritornare.


LXXII.


Perir possa il tuo nome, Baia, e il loco;
     Boschi selvaggi le tua piagge sieno,
     Et le tua fonti diventin veneno,
     Né vi si bagni alcun molto né poco3;
     In pianto si converta ogni tuo gioco,5


    è la menzione del mare (vv. 4 e 15) che valga ad escludere la possibilità di un viaggio come quello a cui io reputo si debba attribuire la poesia. Si osservi infatti, nel Filocolo (III), un itinerario tra Firenze e Napoli, che al Boccacci non può essere stato suggerito tanto dalla fantasia quanto dall’esperienza: quello di Fileno, il quale, da Firenze per Chiusi giunto a Roma, e poi passando per Alba e lasciandosi dietro ‘le grandissime alpi’, pervenne a Gaeta e da questa ‘su le salate onde a Pozzuolo, avendo in prima vedute l’antica Baia e le sue tiepide onde quivi per sostenimento degli umani corpi poste dagl’iddii; e, in quello vedute l’abitazioni della cumana Sibilla, se ne venne in Partenope’ (cfr. anche Crescini, pp. 70-1). Per questa medesima via pertanto poté tornare a Napoli il nostro poeta.

  1. «Fuor d’ogni mia previsione.»
  2. «Colpe.»
  3. Per queste fonti e i bagni che in esse si facevano cfr. qui, p. 93, n. 1.