Pagina:Boccaccio - Fiammetta di Giovanni Boccaccio corretta sui testi a penna, 1829.djvu/127

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io confesso che questa talora vana e talora infinta speranza mi toglieva molti sospiri; la quale poi che da me era partita, quasi come se nella concavità del mio cerebro raccolti si fossero quelli che uscire doveano fuori, convertiti in amarissime lagrime per li miei dolenti occhi spiravano. E cosí le finte allegrezze in verissime angoscie si convertiano.

La nostra città, oltre a tutte l’altre italiche di lietissime feste abondevole, non solamente rallegra li suoi cittadini o con nozze o con bagni o con li marini liti, ma, copiosa di molti giuochi, sovente ora con uno ora con un altro letifca la sua gente. Ma tra l’altre cose nelle quali essa appare splendidissima, è nel sovente armeggiare. Suole adunque essere questa a noi consuetudine antica che, poi che i guazzosi tempi del verno sono trapassati e la primavera con li fiori e con la nuova erba ha al mondo rendute le sue perdute bellezze, essendo con questo li giovaneschi animi per la qualità del tempo raccesi e piú che l’usato pronti a dimostrare li loro disii, di convocare li dí piú solenni alle logge de’ cavalieri le nobili donne, le quali, ornate delle loro gioie piú care, quivi s’adunano. Nè credo che piú nobile o ricca cosa fosse a riguardare le nuore di Priamo con l’altre frigie donne, qualora piú ornate davanti al suocero loro a festeggiare s’adunavano, che sono in piú luoghi della nostra città le nostre cittadine a vedere; le quali poi che alli teatri in grandissima quantità radunate si veggono, ciascuna quanto il suo potere si stende dimostrandosi bella, non dubito che qualunque forestiere intendente sopravvenisse, considerate le contenenze altiere, li costumi notabili, gli ornamenti