Pagina:Boccaccio - Filocolo (Laterza, 1938).djvu/169

Da Wikisource.

LIBRO TERZO

Ritornato Florio a Montorio, lieto per la campata Biancofiore non meno che per l’avuta vittoria, avendo ancora gli occhi alquanto della lunga sete sbramati, e prendendo riposo del ricevuto affanno, incominciò a menar lieta vita, contentandosi dell’aiuto degl’iddii, al quale si vedeva congiunto. E giá gli pareva che i fati rivolti gli fossero benivoli, and’egli sperava tosto i suoi disiri compiere. Adunque la sua festa era senza comparazione in Montorio: e i cavalli che lungamente per lo suo amoroso dolore avevano negligente riposo avuto, ora inforcati da lui, e le redini tenute con maestrevole mano, correndo a diversi ufficii rimettono le trapassate ore. Egli, vestito di drappi di Siria, tessuti dalle turche mani, rilucenti dell’indiano oro, dimostra la sua bellezza coronata di frondi. Altre volte co’ cani e col forte arco nelle oscure selve caccia i paurosi cervi, e nelle aperte pianure i volanti uccelli gli fanno vedere dilettevoli cacce. E spesse fiate le fresche fontane di Montorio erano da lui con diversi diletti ricercate. Niuna allegrezza gli mancava fuor solamente la sua Biancofiore, la quale gli era troppo piú lontana che la speranza non gli porgeva.

Menando Florio, per la futura speranza che lo ingannava, lieta vita, la non pacificata fortuna, invidiosa del fallace bene, non poté sostenere di tenergli alquanto celato il nebuloso viso, ma affrettandosi di abbreviare il lieto tempo, con questi pensieri un giorno subitamente l’assalí. Era entrato l’innamorato giovane, nell’ora che il sole cerca l’occaso, in un piacevole