Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 1, 1829.djvu/282

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per mostrarmi quanto sia stato o sia l’amore che mi porti, però che molto maggiore credo che sia che la tua lettera non mostra, nè tu per parole potresti mostrare. E similmente i lunghi affanni e i gran meriti, a quali io mai aggiunger non potrei a remunerare il più picciolo, per quella conobbi. Ma il sentirti piagnere della intera fede la quale mai nè ti ruppi, nè disiderai di romperti m’ha mossa a lagrimare e istrinta a scriverti, disiderosa di farti certo te mai da me non essere dimenticato, nè potere possibile mai divenire che io ti dimentichi. Io, o grazioso giovane, non credo me essere nata de’ ferocissimi leoni barbarici, nè delle robuste querce d’Ida, nè delle fredde marmore di Persia, dalle quali cose risomigliando passi di rigidezza i libiani serpenti; ma di pietoso padre e di benigna madre, sì come più fiate m’è stato detto, discesi, e per quella legge che sono gli umani corpi dalla natura tratti, e io similemente, ma non dalla fortuna. Nè appresi mai, nè so essere, nè disidero di saperlo, crudele e sanza umano conoscimento come tu imagini. Tu mi scrivi che Amore me, come te, ne’ nostri puerili anni, insiememente ferì: della qual cosa io non meno di te mi ricordo. E certo egli mi trovò atta e disposta ad amare come te similemente, nè più durezza credo che trovasse nel mio che nel tuo cuore, o abbia mai trovata. Per la qual cosa, se tu con affanni infiniti se’ lontano a me dimorato, io non dimorai mai nè dimoro con diletto a te lontana, anzi mi sento da diverse punture molestare per simile cagione che senti tu, nè mai infinta lagrima nè falsa parola per più accenderti udisti da me: ma volessero gl’iddii che possibile fosse