Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 1, 1829.djvu/51

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nati delle dure querce o delle alpestre rocce, che essi non abbiano pietà, nè che essi non ascoltino le tue parole, le quali sì tosto come l’udiranno piene di soavità, così daranno incontanente luogo alla nostra via? Deh! non ti recare a volere la forza del tuo piccolo popolo sperimentare con così grande essercito, ch’egli è fortuna e non ragione, quando di così fatte imprese si riesce a prosperevole fine. Non vedi tu che i tuoi compagni volentieri sanza prendere armi si sarebbono stati, perchè conoscono il pericolo, se a te non l’avessero vedute pigliare? Ma tu, prendendole, ne se’ loro stata cagione. E se tu pur dubiti della crudeltà di coloro, molto meglio è a fuggirci mentre che noi possiamo che voler combattere con loro. Vedi che le vicine montagne sono piene di folti boschi e di nascosi valloni, ne’ quali noi ci potremo assai bene nascondere, chi in una parte e chi in un’altra. Deh! non aspettiamo più le punte di quelli ferri, i quali, veggendoli, già mi porgono mortal paura. Andiamo, incominciamo la salutevole fuga, alla quale non nocerà la non dissoluta nebbia che fa questa valle oscura. Niuno nimico dee più volere del suo avversario che vederlosi fuggire davanti, mostrando di temere la sua potenza. Però s’elli vengono per offenderci essi saranno contenti di vederci fuggire, e, ridendo fra loro, riterranno i correnti cavalli, faccendosi beffe di noi: le cui beffe noi non curiamo, solamente che noi scampiamo delle loro mani. Poi, se licito non c’è d’andar più avanti, tornianci inanzi a Roma che noi vogliamo morire e non sapere come, però che ciascuno è per divino comandamento tenuto di servare la sua vita il più che puote. E siati ancora manifesto che