Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 2, 1829.djvu/181

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della tua madre. Spera, ché io non ho altro bene nel mondo che te, né d’altrui attendo soccorso se non da te. O dolce Florio, possibile mi fosse ora nelle mie braccia ritrovarti! Oh quanto bene avrei! Certo io non crederei che la fortuna o gl’iddii mi potessero poi far male. Io ti bacerei centomila volte; e appena che queste mi bastassero! Oh quante volte sarieno da me baciati quelli occhi, che con la loro piacevolezza prima mi fecero amor sentire! Io strignerei con le sconsolate braccia il dilicato collo tanto, quanto il mio disio avanti si distendesse. Deh, ora ci fossi tu: che è a pensare che una timida giovine dorma sola in così gran letto come fo io? Tu mi saresti graziosa compagnia e sicura. O santa Venere, quando sarà che la ’mpromessa da voi fatta a me s’adempia? Viverò io tanto? Appena che io il creda. Io ardo: io non posso sostenere le vostre percosse, ma impossibile conosco che ’l mio disio ora s’adempia, tanto gli sono lontana; ma in luogo di ciò, o Citerea, manda nel petto mio soave sonno, e quello che io veramente aver non posso, fammelo nel sonno sentire. Contenta con questo il mio disire, acciò che alquanto si mitighi la mia pena. Or ecco, io m’acconcio a dormire, e attendo nelle mie braccia il disiato bene. O santa dea, io gli lascio il suo luogo: venga con grazioso diletto a me, io te ne priego -. Queste parole dicendo, ogni volta ch’ella ricordava Florio, gittava un grandissimo sospiro, e con le braccia distese verso quella parte dove Filocolo nascoso dimorava, con fatica, dopo molti sospiri, s’adormentò.

Filocolo udiva tutte queste parole, e più volte fu tentato di gittarlesi in braccio e di dire: Eccomi, il tuo disio è compiuto! -. Ma poi dubitando si ritenea, e con disiderio attendea ch’