Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 2, 1829.djvu/201

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Filocolo e diceva con rotta voce e con vergogna: O signore mio dolce, ove se’ tu con affanni e con pericoli venuto ad essere messo vivo nelle ardenti fiamme! Oimè, quant’è più il dolore ch’io di te sento, che quello che di me mi fa dolere! Oimè, quanto m’è grave a pensare che tu per me sì vilmente sii dato a morire! I dolenti occhi non possono mostrare con le loro lagrime ciò che il cuore sente, qualora io ti riguardo ignudo con meco insieme tra tanto popolo disposti a morire. O anima mia, che hai tu commesso, che gl’iddii, che essere ti soleano benivoli, così sieno contro a te turbati e in tanta avversità t’abandonino? Perché ti nuoce il mio peccato? Maladetta sia l’ora ch’io nacqui, e che amore mise negli occhi miei quel piacere, del quale tu, oltre al dovere, sempre se’ stato innamorato, poi che a questo fine ne dovevi venire. Oimè, ch’io mi dolgo che tu per adietro m’abbi campata dall’altro fuoco, per che, campandomi, t’acquistasti morte. Io misera, degna di morire, volontieri muoio, né mi saria grave il sostenere prima ogni pena, e poi questa, solamente che tu campassi. Ahi, quanto volentieri tal grazia e a Dio e al mondo dimanderei, se io credessi che conceduta mi fosse! Ma essi hanno avuto del nostro poco bene invidia, e però, più disposti a’ nostri danni che a piacerne, non si moveriano ad alcun priego. Oimè misera, che quel giorno che ci diede al mondo, quel giorno la cagione di questa morte ne porse. Impossibile è ora alla tua madre credere che tu sii a questo partito; e i tuoi miseri compagni forse estimano che tu ora lietamente dimori, però che, non essendo essi conosciuti, alcuno non dice loro questo accidente. Elli