Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 2, 1829.djvu/264

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diversi templi, quelle adorano, dicendole piene di deità. O rustico errore più tosto che verità! Elli hanno appo loro gl’iddii e le dee e i celestiali regni, e vannogli fra le stelle cercando. E che ciò sia vero, rimirisi i nostri visi, adorni di tanta bellezza, che nullo verso la poria descrivere: ella avria forza di muovere gli uomini a grandissime cose. Dunque, quali iddii o quali dee, qual Venere, qual Cupido, o qual Diana più di noi è da esser riverita? Folle è chi crede altra deità che la nostra. Noi commoveremmo i regni a battaglie e ne’ combattenti metteremmo pace a nostra posta: quello che gl’iddii non poterono fare, avendo Elena porta la cagione. Quali folgori, quali tuoni poté mai Giove fulminare, che da temere fossero come la nostra ira? Marte non fa se non secondo che noi commettiamo. Cessi adunque questo luogo da essere riverito, se non per amore di noi: e che ciò sia ragione, io vi mostrerò la mia forza maggiore che quella di Venere essere stata, e udite come:

Quanto io fossi di sangue nobilissima non bisogna di dire, che è manifesto, né alcuno di quelli che iddii si chiamano, potrebbe con giusta ragione mostrare più la sua origine che la mia antica. Io similemente in dirvi quant’io di ricchezze abondi non mi faticherò, però che è aperto Giunone a quelle non potere dare crescimento discernevole con tutte le sue. La copia de’ parenti è a me grandissima: e oltre a tutte le cose che nel mondo si possono disiderare, son io bellissima come appare, e nel più notabile luogo della mia città situata è la lieta casa che mi riceve. Davanti la quale niuno cittadino è che sovente non passi; e quelli forestieri,