Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 2, 1829.djvu/82

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il suo sconvenevole disio palesò. Similemente Fedra più volte tentò di volere ad Ipolito, al quale, come a domestico figliuolo, poteva arditamente parlare, di dirli quanto ella l’amava, né era prima la sua volontà pervenuta alla bocca per proffererla, che, temendo, su la punta della lingua le moria. O quanto è temoroso chi ama! Chi fu più possente che Alcide, al quale non bastò la vittoria delle umane cose, ma ancora a sostenere il cielo si mise! E ultimamente non di donna, ma d’una guadagnata giovane s’innamorò tanto, che come umile suggetto, temendo, a’ comandamenti di lei facea le minime cose! E ancora Paris, quello che né con gli occhi né con la lingua ardiva di tentare, col dito avanti alla sua donna del caduto vino scrivendo prima il nome di lei, appresso scriveva: "io t’amo"! Quanto ancora sopra tutti questi ci porge debito essemplo di temenza Pasife, la quale ad una bestia sanza razionale intelletto non ardiva d’esprimere il suo volere, ma con le propie mani cogliendo le tenere erbe s’ingegnava di farlo a sé benigno, ingannando se medesima sovente allo specchio per piacergli e per accenderlo in tal disio quale era ella, acciò ch’egli si movesse a cercare ciò che ella non ardiva di domandare a lui! Non è atto di donna innamorata, né d’alcun’altra, l’essere pronta, con ciò sia cosa che sola la molta vergogna, la quale in noi dee essere, è rimasa del nostro onore guardatrice. Noi abbiamo voce tra gli uomini, e è così la verità, di sapere meglio l’amorose fiamme nascondere che gli uomini: e questo non genera altro che la molta temenza, la quale le nostre forze, non tante quante quelle degli uomini, più tosto occupa. Quante ne sono già state,